«Berhe? Non posso dire con certezza che questo nome sia stato pronunciato nelle telefonate. Medhanie sì, ma non Berhe». Il controesame dell’ispettore della Mobile di Palermo, Giuseppe Mauro, che ha preso in consegna dalle autorità sudanesi l’uomo sospettato di essere Medhanie Yehdego Mered, il boss della tratta di esseri umani tra l’Africa e l’Europa, è iniziato con le prime domande da parte dell’avvocato Michele Calantropo. Da chiarire, secondo il legale, ci sarebbero delle ombre sulle indagini che hanno portato all’identificazione dell’imputato come uno dei trafficanti più ricercati dalle autorità internazionali. L’uomo in carcere da giugno, invece, da sempre afferma di chiamarsi Medhanie Tesfamariam Berhe e di trovarsi al centro di uno scambio di persona.
«Delle conversazioni intercettate, noi leggevamo la sintesi degli interpreti – spiega l’ispettore Mauro – Quindi questo nome potrebbe anche non essere stato segnalato». Quello che l’accusa ritiene essere con certezza il boss Mered sarebbe stato identificato perché in diverse telefonate intercettate alcuni trafficanti si rivolgono a lui utilizzando il nome Medhanie, altri ancora chiedendo se fosse il figlio di Yehdego, alludendo al padre. Fino a risalire anche, con l’aiuto delle autorità svedesi, a Lidya Tesfu, compagna del boss e incinta al momento delle indagini. Più complesso invece capire come gli investigatori siano riusciti a dare un volto al trafficante super ricercato, dal momento che l’identificazione è avvenuta solo attraverso l’ascolto delle voci intercettate sull’utenza libica e su quella sudanese, monitorate per diversi mesi. Mentre l’utenza corrispondente al telefono trovato addosso all’imputato al momento dell’arresto è stata controllata per soli otto giorni.
Tuttavia, nelle fasi che hanno preceduto l’arresto a Khartoum e l’estradizione dell’imputato, gli investigatori avevano addirittura diffuso una foto di Mered. Sta all’inpiedi accanto a un’automobile, in quello che somiglia a una sorta di garage, indossa una magliettina azzura e un vistoso crocifisso. Quel volto, però, non somiglia affatto all’uomo oggi sotto processo. Alla domanda del difensore su quando sia stata inserita questa specifica foto sul profilo Facebook Meda Yehdego, l’ispettore Mauro risponde con precisione: «È stata inserita il 13 luglio 2014 alle ore 3.57». Nel momento in cui, però, l’avvocato Calantropo domanda se risultino, nel report recentemente fornito da Facebook, connessioni compatibili con questa data e questo orario, subentra a gamba tesa il pm Geri Ferrara.
«Il test ha detto che quel giorno è stata inserita nella lista degli amici presenti nel profilo Facebook di Lidya Tesfu». Oggetto del contendere tra accusa e difesa è un passaggio poco chiaro dei verbali che hanno portato all’operazione Glauco II, in cui gli inquirenti scrivono, riferendosi alla foto di Mered, che «è stata inserita il 13/7/2014 alle ore 3.57, nella lista dei cosiddetti amici presente nel profilo Facebook della moglie Lydia Tesfu», frasi che dovranno essere interpretate dagli stessi inquirenti, vista l’impossibilità di inserire foto nell’elenco dei contatti del social network in questione. Il controesame dell’ispettore Mauro proseguirà a maggio in occasione della prossima udienza.
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