Il presidente della seconda sezione penale del tribunale di Palermo, Benedetto Giaimo, rigetta a sorpresa la richiesta della testata di registrare le udienze del processo che inizierà mercoledì prossimo. Lo sfogo di Sergio Scandura: «Mai successo a Palermo per un pubblico dibattimento»
Caso Maniaci, tribunale dice no a Radio Radicale «Scelta incomprensibile, lede il diritto di cronaca»
«Non si autorizza, non suscitando il consenso unanime delle parti, né ricorrendo alcun interesse sociale particolarmente rilevante nella conoscenza del dibattimento». Con queste parole a firma del presidente Benedetto Giaimo il tribunale di Palermo ha negato l’autorizzazione ai giornalisti di Radio Radicale di registrare tutte le udienze del processo a carico del cronista di Telejato Pino Maniaci, accusato di estorsione, che avrà inizio mercoledì prossimo. A margine, scritta a mano, c’è anche una nota del pubblico ministero Amelia Luise, che ribadisce il fatto che «si nega il consenso risultando difficoltoso proteggere le opposte esigenze di tutte le altre parti del processo». «A Palermo non era mai successo prima per un pubblico dibattimento», commenta il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura.
«L’articolo che regola la pubblicità del dibattimento parla chiaro: all’inizio il titolare del processo sente le parti una volta costituite e persino in caso di totale opposizione la sua decisione è sovrana e può comunque decidere di dare accesso a radio e televisioni in un processo che peraltro ha i requisiti di interesse pubblico – spiega Scandura – Anche la codicistica italiana è ormai obsoleta, perché la Cedu, la giurisprudenza europea, non consente più processi sottratti all’opinione pubblica». La decisione del tribunale arriva solo a una settimana dall’inizio del procedimento. «Serve una mobilitazione di Ordine e sindacato, perché l’archivio di Radio Radicale è un servizio pubblico che a Palermo viene garantito dai tempi del maxi processo con l’integralità delle udienze, servizio di cui usufruiscono tutti, non solo i giornalisti, ma anche magistrati e avvocati», dice ancora il giornalista. Questa decisione rischia di ostacolare il lavoro anche di altri colleghi e di rendere il processo a porte chiuse. «Stupisce che il tribunale abbia preso questa decisione, rigettando la nostra richiesta prima che inizi il processo,così come recita codice», conclude.
Intanto, la Federazione nazionale della stampa italiana e l’Unione nazionale cronisti italiani hanno già manifestato solidarietà alla denuncia lanciata oggi dalla testata: «Sorprende la decisione della seconda sezione penale del tribunale di Palermo, presieduta da Benedetto Giaimo, di respingere la richiesta registrazione audio avanzata da Radio Radicale», scrivono in una nota. Mentre Andrea Tuttoilmondo, presidente regionale dell’Unci, sottolinea più avanti: «Dispiace prendere atto di questa censura. Auspico che si possa valutare diversamente l’istanza presentata dai colleghi di Radio Radicale. Per la rilevanza sociale di chi è coinvolto, consentire la registrazione di questo processo significa contribuire a realizzare pienamente quella missione di pubblico servizio che guida lo spirito di chiunque faccia informazione seria e con coscienza».
Rilevanza sociale che, a proposito, sembrava essere stata conferita a questo processo già in fase embrionale, a partire dall’annuncio dell’operazione Kelevra del maggio scorso e alla conferenza stampa tenuta presso il tribunale, in cui a essere ampiamente posto sotto i riflettori della stampa è stato proprio Pino Maniaci, mettendo quasi in un angolo i dieci arrestati con l’accusa di associazione mafiosa, di cui si è parlato fin troppo poco. Una rilevanza sociale che sembrava spontaneamente appartenere a questa vicenda, inoltre, per via dei personaggi coinvolti, Maniaci in testa, e dell’attenzione mediatica che l’ha accompagnata sul nascere. Su questo punto l’articolo tirato in ballo da Scandura, il 147 del cpp, è chiaro: «L’autorizzazione può essere data anche senza il consenso delle parti quando sussiste un interesse sociale particolarmente rilevante alla conoscenza del dibattimento».
Le riprese non possono essere autorizzate invece quando «la pubblicità può nuocere al buon costume ovvero, quando può comportare la diffusione di notizie da mantenere segrete nell’interesse dello Stato. O, ancora, in caso di assunzione di prove che possono causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni. O, infine, in caso debbano essere ascoltati dei minorenni», secondo i commi uno, due e quattro di un altro articolo che regola la decisione di procedere a porte chiuse. Tutte condizioni che in questo caso non sembrano sussistere. Si attende, nel frattempo, un pronunciamento anche da parte dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia.