La vicenda gesip continua ad essere unemergenza per la città di palermo. L'emergenza è rappresentata sia dalla scarsità di risorse finanziarie del comune, sia dalla carenza di progetto funzionale da assegnare a questa società partecipata dall'amministrazione comunale. Essa rappresenta la testimonianza più eclatante della gestione fallimentare della decennale amministrazione del centro destra palermitano. Tuttavia, esiste e va gestita, nel senso del suo recupero funzionale, ove possibile. Altrimenti va chiusa.
Caso Gesip, soluzioni e non chiacchiere
La vicenda Gesip continua ad essere unemergenza per la città di Palermo. L’emergenza è rappresentata sia dalla scarsità di risorse finanziarie del Comune, sia dalla carenza di progetto funzionale da assegnare a questa società partecipata dall’amministrazione comunale. Essa rappresenta la testimonianza più eclatante della gestione fallimentare della decennale amministrazione del centro destra palermitano. Tuttavia, esiste e va gestita, nel senso del suo recupero funzionale, ove possibile. Altrimenti va chiusa.
Una azienda, anche pubblica, ha senso se assolve ad una funzione sociale oltre che economica: procura occupazione e lavoro, offre servizi o produce beni, crea ricchezza, innova processi produttivi, sviluppa tecnologie, crea sviluppo. Quando unazienda non fa queste cose diventa un peso per la società e conviene chiuderla. Una impresa deve creare ricchezza non deve divorarla. In questo secondo caso diventa un’entità parassitaria. Né si può invocare a giustificazione del suo mantenimento in vita il fatto che in qualche modo occorre garantire un reddito ai lavoratori alle sue dipendenze, perché a questo fine esistono altre forme di solidarietà che il sistema wellfare è in grado di garantire.
Fatta questa breve premessa di carattere socio-economico, vediamo qual è l’orientamento che il Comune di Palermo ha assunto per portare a soluzione la questione Gesip. Intanto, per l’emergenza, si è fatto ricorso alla Cassa integrazione in un primo tempo accordata dal Governo nazionale e poi ritirata. Questa, in ogni caso, è una soluzione transitoria. Gradiremmo capire il progetto di lungo termine messo a punto dall’amministrazione onde valutare la opportunità di mantenere in vita l’azienda o meno, capire se essa debba continuare ad avere le attuali dimensioni e qual è il vantaggio della comunità cittadina a sostenere i relativi costi.
Dall’amministrazione di sinistra della città ci aspettiamo davvero reali cambiamenti di indirizzo in totale discontinuità rispetto alle precedenti amministrazioni, che hanno fatto della rapina delle risorse pubbliche la cifra della loro gestione. E per cambiamento di indirizzo intendiamo, in primo luogo, la produttività dell’azienda di servizi comunali.
Facciamo questa premessa perché abbiamo avuto modo di ammirare nel corso delle manifestazioni di protesta dei lavoratori Gesip per le strade cittadine il ‘giro vita’ di numerosi (e sottolineamo la parola ‘numerosi’) di questi lavoratori. A dimostrazione che il loro stato di forma è derivato da lunghissimi periodi di inattività fisica se non, addirittura, di ozio. Quindi, la messa in atto di un piano di lavoro operoso e fattivo al servizio della comunità. Solo in questo caso la cittadinanza potrebbe essere disposta a caricarsi l’onere del mantenimento in vita di questa azienda. Un piano di interventi nella manutenzione del verde, dei marciapiedi, dello svuotamento dei tombini di scolo delle acque piovane, dei servizi cimiteriali e quant’altro occorre all’elementare funzionamento della città.
Noi non ci siamo strappati le vesti quando il generale Ugo Marchetti ha rassegnato le dimissioni da assessore di questa giunta cittadina, per la ragione che non ci convinceva la soluzione finanziaria che aveva ideato per affrontare la questione Gesip, ponendola a carico delle altre aziende comunali a gestione attiva o, almeno, in pareggio. Ma da qui ad accogliere la soluzione Cassa integrazione a mille euro mensili per non lavorare ce ne corre. E la ragione è semplice: pensiamo alle piccole imprese tartassate con aliquote superiori a 50 per cento dei ricavi dal loro lavoro il cui reddito non glielo garantisce nessuno, tranne la loro capacità di essere gradite al mercato. Ebbene, per questi imprenditori, assistere allo scempio dei loro sacrifici non è certo un bel vedere. Anzi.
L’economia parassitaria non appartiene alla cultura della sinistra, quella lasciamola volentieri alla destra. Avviamo un processo virtuoso, affinché Palermo possa essere orgogliosa della sua civica amministrazione.