Nella sentenza del tribunale di Palermo sulle vicissitudini dell'ex responsabile del servizio Tutela dall'inquinamento atmosferico, Gioacchino Genchi, si ripercorrono le tappe di una storia grottesca. Assolto un quinto imputato. Resta aperto processo civile
Caso Genchi, prescritti quattro ex dirigenti regionali Giudice: «Valutazione performance frutto di malafede»
Salvi grazie alla prescrizione, ma con il giudice che sottolinea come la loro condotta sia stata contraddistinata da «evidente malafede». Si conclude così la storia processuale per quattro dei cinque ex dirigenti della Regione, accusati di abuso d’ufficio nell’ambito dell’intricata vicenda che ha visto come protagonista – nelle vesti di parte lesa – Gioacchino Genchi, l’ex dirigente del servizio Tutela dall’inquinamento atmosferico rimosso dall’incarico in seguito a una valutazione negativa sulle prestazioni relative al 2006, l’anno in cui Genchi si pronunciò contro il via libera ai quattro mega-inceneritori proposti dall’allora governo Cuffaro, per risolvere l’emergenza rifiuti.
A beneficiare della prescrizione, intervenuta dopo sette anni e mezzo a partire dalla conclusione del reato che per il giudice sarebbe stato commesso fino al 2008, sono stati l’ex dirigente generale del dipartimento Territorio, Pietro Tolomeo, e gli ex dirigenti Giovanni Arnone, Vincenzo Sansone e Antonino Maniscalco. Questi ultimi componenti dello staff di valutazione che quantificò in 58,01 il punteggio raggiunto da Genchi. Un dato a cui – nonostante le evidenze normative che vedono in 50 il punteggio minimo da raggiungere per evitare ogni rischio di sanzione – seguì la sospensione per quattro anni (poi rivelatisi sei e mezzo) e l’inizio di una disputa tra Genchi e i vertici della Regione che ancora oggi aspetti è aperta, considerato che l’ex chimico ha intentato una causa civile chiedendo un risarcimento da mezzo milione di euro.
Al centro del processo tenutosi davanti alla terza sezione penale del tribunale di Palermo, che ha portato all’assoluzione con la formula del fatto non sussiste per il quinto imputato, l’ex dirigente Sergio Gelardi, c’è stata la genesi della valutazione della produttività di Genchi. Nella sentenza con cui il collegio giudicante non ha accolto la principale richiesta dell’accusa – l’assoluzione per tutti per mancanza di elementi sufficienti a ravvisare gli estremi dell’abuso d’ufficio – la presidente Daniela Vascellaro ripercorre le tappe di una storia che l’anno scorso finì al centro della cronaca anche per l’aggressione a un inviato del programma Le Iene, che aveva tentato di chiedere delucidazioni all’ex presidente della Regione Rosario Crocetta.
Tutto ha inizio a metà del 2005, quando viene nominato lo staff che all’interno della Regione avrà il compito di valutare le performance dei dirigenti per l’anno successivo. Tra loro c’è Genchi che, nel novembre 2007, insieme a un collega lamenta di non essere stato messo a conoscenza delle attività dello staff. Il rilievo non è casuale: la normativa, infatti, prevede che il processo di valutazione abbia la partecipazione del burocrate destinatario del giudizio, dando a quest’ultimo la possibilità di fare controdeduzioni nel caso in cui non fosse d’accordo con il punteggio assegnatogli. Tuttavia, la commissione va avanti e ad aprile 2008 quantifica in 58,01 (su un massimo di cento) il voto da dare al chimico. Il dato di per sé non gli consente di accedere alle indennità di risultato, per le quali avrebbe dovuto superare i 70 punti. Nei confronti di Genchi vengono mosse una serie di accuse: dall’avere disatteso l’applicazione di direttive assessoriali all’avere firmato provvedimenti non di propria competenza, fino al non avere riscosso la tassa per la concessione governativa per le autorizzazioni alle emissioni nell’atmosfera ed essere incorso in presunte irregolarità nell’acquisto di attrezzature.
Osservazioni che però lo stesso ex dirigente fa fatica a recuperare, nonostante faccia richiesta di una copia della valutazione. Genchi così viene a scoprire i dettagli soltanto dal Tribunale del lavoro a cui si rivolge e che gli dà ragione, condannando la Regione a pagare le indennità che sarebbero spettate al responsabile del servizio Tutela dall’inquinamento atmosferico. Si arriva al 2010, quando Genchi chiede di aprire un contraddittorio interno agli uffici su quanto deciso oramai tre anni prima: il confronto avviene, ma nei fatti nulla cambia.
Nel frattempo, però, per il chimico oltre al danno si era aggiunta la beffa: nonostante i 58 punti gli avrebbero dovuto garantire un giudizio senza demerito, la Regione, su richiesta dei vertici burocratici poi accolta anche dall’allora giunta Cuffaro, revoca l’incarico dirigenziale. Davanti a tale decisione Genchi, nel 2009, oppone ricorso al presidente della Regione, ruolo nel frattempo assunto da Raffaele Lombardo, riuscendo a ottenere l’annullamento del precedente provvedimento. L’assunto di base è: 58 è più di 50. Il pronunciamento di Lombardo, però, non vede mai applicazione e Genchi continua a patire la sanzione. I paradossi però non finiscono qui: un anno dopo, nel 2010, è sempre sotto il governo Lombardo – con una giunta parzialmente diversa – che viene riconfermato il giudizio negativo nei confronti di Genchi.
La storia così scivola via, fino al 2013, quando l’assessora alla Salute del governo Crocetta, Lucia Borsellino, dà incarico a Genchi di dirigere il servizio di Sicurezza alimentare. Questo è l’ultimo anno di lavoro per il chimico, che nel 2014 va in pensione, continuando però a cercare il riconoscimento da parte della Regione dell’errore ormai compiuto oltre un lustro prima. Riconoscimento che non arriva: sia Crocetta che il dirigente generale del dipartimento Territorio e Ambiente evitano di pronunciarsi sulla disputa aritmetica da cui derivò la penalizzazione.
Una vicenda grottesca su cui i giudici del tribunale di Palermo non sono entrati, essendo chiamati soltanto a giudicare se il lavoro di Arnone, Sansone, Maniscalco e Tolomeo sia stato viziato da irregolarità. A riguardo le parole della giudice sono chiare: «L’istruttoria dibattimentale ha sufficientemente dimostrato – si legge nelle motivazioni della sentenza – come gli imputati avessero perseguito come obiettivo primario del loro operato quello di danneggiare la persona offesa, con punteggi così ingiustificatamente sottodimensionati e con palese violazione delle regole che sovrintendono il procedimento di valutazione». Abuso che però, essendo intervenuta la prescrizione, non comporterà conseguenze agli ex dirigenti, nel frattempo tutti andati in pensione.