Dopo trent'anni dall'omicidio del piccolo Claudio da parte di Cosa Nostra, la famiglia ha deciso di far conoscere la propria storia. «Mio figlio ha fatto condannare i boss. Ha vinto lui, ha vinto la vita» dice la mamma Graziella. Mentre si rincorrono ancora le ipotesi sui motivi del truce assassinio
Caso Domino, nasce il comitato vittime invisibili «La molla è scattata dopo l’intervista a Riina jr»
Una morte che non è stata vana. Un delitto che ha portato i mafiosi ad ammettere l’esistenza di Cosa Nostra. Ne è convinta Graziella Accetta, mamma del piccolo Claudio Domino, undicenne freddato da un killer il 7 ottobre del 1986 mentre giocava al pallone al quartiere San Lorenzo di Palermo. Per ben trent’anni mamma Graziella e il marito Antonio sono rimasti barricati nel loro dolore. Un dolore che a fatica sono riusciti a trasformare in impegno. Graziella e Antonio hanno deciso di far conoscere la storia di Claudio andando in giro per le scuole a parlare con i ragazzi. Perché Claudio e gli altri 107 invisibili, uccisi dalla barbarie di Cosa Nostra, non vengano dimenticati.
«A far scattare la molla – dice Graziella Accetta – è stata l’intervista a Riina Junior. Ascoltare le sue parole, sentirlo dipingere il padre come un uomo onesto mi ha portata a pensare che dovevamo fare qualcosa. I giovani devono sapere che gli assassini non sono padri onesti». E’ cominciata così l’avventura di Graziella e Antonio che assieme ai genitori dei tanti bimbi uccisi per sbaglio o perché spettatori indiretti di fatti scomodi hanno fondato il comitato degli invisibili. E ieri sono scesi in piazza per chiedere di non essere dimenticati, per invocare una verità che dopo trent’anni non è ancora arrivata. «Le indagini sono state fatte male – osserva ancora Accetta -. Hanno cercato dalla parte sbagliata, la nostra».
Era l’anno del maxiprocesso. Claudio venne freddato in una tiepida giornata di ottobre mentre giocava al pallone accanto alla cartolibreria gestita dalla mamma. Il killer lo chiamò per nome e dopo averlo avvicinato gli puntò la pistola in fronte sparandogli a bruciapelo. All’epoca, Antonio Domino era il titolare dell’impresa di pulizie incaricata di pulire l’aula bunker dell’Ucciardone. Due giorni dopo quell’omicidio, Giovanni Bontate si alza nella sua gabbia, chiede la parola al presidente e dice: «Presidente, noi vogliamo fugare ogni sospetto. Noi rifiutiamo l’ipotesi che un simile atto di barbarie ci possa solo sfiorare. Noi siamo uomini, abbiamo figli. Esterniamo il nostro dolore alla famiglia di Claudio».
Un anno dopo Giovanni Bontate viene ucciso assieme alla moglie. Nel 1989 il pentito Francesco Marino Mannoia, che con Buscetta è uno dei pentiti storici della mafia siciliana e ritenuto tra i più attendibili, rivela che uno dei motivi per cui Bontate venne ucciso fu che con quella dichiarazione, con quel «noi», aveva indirettamente ammesso l’esistenza dell’organizzazione mafiosa. «Mio figlio – dice Graziella Accetta con le lacrime agli occhi – ha fatto condannare i boss. Ha vinto lui. Ha vinto la vita».
Quella morte tuttavia rimane avvolta nel mistero. Subito dopo l’omicidio, sui giornali dell’epoca comincia a girare l’ipotesi che i famigliari del piccolo Claudio siano stati avvicinati dagli imputati del maxiprocesso o dai loro sodali all’esterno, per ottenere qualche favore (per esempio per aprire un canale di comunicazione) e che di fronte a un loro rifiuto sia scattata la rappresaglia mafiosa. La storia di Claudio invece potrebbe essere più complessa, come risulta da altre indagini. Il bimbo potrebbe aver visto qualcosa. Poteva essere un testimone scomodo e per questo andava eliminato.