Ultime battute per la vicenda giudiziaria che riguarda l'imprenditore etneo. Già alla prossima udienza potrebbe essere chiaro se l'editore ed ex direttore de La Sicilia andrà a processo. Oggi, intanto, hanno preso la parola gli avvocati della famiglia del commissario Beppe Montana e dell'Ordine dei giornalisti di Sicilia
Caso Ciancio, in aula tocca alle parti civili «Solo il processo ci potrà fornire la verità»
L’ultimo atto sulla vicenda giudiziaria dell’imprenditore Mario Ciancio è sempre più vicino, addirittura già il 15 marzo prossimo potrebbe arrivare la decisione della giudice per l’udienza preliminare Flavia Pezzino. Dopo l’udienza di oggi, nella quale si sono alternate le parti civili, toccherà alla difesa dell’editore ed ex direttore de La Sicilia affrontare l’arringa per tentare di smontare l’atto d’accusa della procura. Poi l’ultima parola sull’eventuale rinvio a giudizio per concorso esterno in associazione mafiosa spetterà alla togata etnea. Oggi è toccato alle parti civili con l’avvocato Dario Pastore, per l’ordine dei giornalisti di Sicilia, e con il legale Goffredo D’Antona, che assiste i fratelli Dario e Gerlando Montana, familiari del commissario di polizia Beppe ucciso da Cosa nostra nel 1985.
In aula viene spiegato e ribadito il ruolo della famiglia in questa vicenda giudiziaria e si è tornato a parlare della mancata pubblicazione del necrologio sulle pagine del quotidiano di Ciancio. «Testo respinto su disposizione del vicedirettore Corigliano e del direttore Mario Ciancio», si legge sul testo dell’epoca che faceva riferimento al disprezzo per la mafia e ai suoi anonimi sostenitori. Una scelta considerata dai Montana come una precisa volontà dell’editore di considerare una vittima di mafia come non importante. Tuttavia, «il nostro non è un ruolo umano, ma a tutti gli effetti processuale – chiarisce a margine dell’udienza D’Antona – Ed è quindi nostro diritto conoscere la verità e cioè perché quel necrologio è stato rifiutato. Tutto questo può passare solo attraverso il dibattimento». Dietro il rifiuto di pubblicare il testo ci sono quelle che l’avvocato definisce «delle incredibili giustificazioni»: come «l’impossibilità di esprimere giudizi nei necrologi – spiega il legale -, ma ho ricordato la diversità di trattamento riservata alla morte del boss Pippo Ercolano». Un’altra versione della vicenda è quella secondo cui esisterebbero delle email e persino degli atti notarili in cui alcuni dipendenti de La Sicilia si sarebbero assunti la responsabilità della mancata pubblicazione del necrologio.
Durante l’udienza l’avvocato D’Antona ripercorre anche le motivazioni con le quali la corte di Cassazione ha deciso di annullare il proscioglimento dell’editore, rimandando il caso agli uffici giudiziari etnei. Senza dimenticare la «volontà a non fare questo processo» rilevata dal procuratore generale romano nella sua requisitoria di settembre 2016 davanti ai giudici ermellini. Oggi, al secondo piano del palazzo di giustizia, è riecheggiato anche il nome della vecchia concessionaria del capomafia Nitto Santapaola. La Pam Car inaugurata nel 1979 alla presenza del prefetto di Catania Stefano Abatelli. Immagini che secondo i magistrati etnei «non si vedono più a Catania» ma che non trovano d’accordo proprio l’avvocato D’Antona: «Ogni volta che questo procedimento è andato avanti, l’imputato si è fatto ritrarre con personaggi delle istituzioni. Non voglio criminalizzare nessuno ma si tratta di una questione di opportunità», chiarisce. Il riferimento è alle foto che periodicamente immortalano Ciancio con politici e uomini delle forze dell’ordine e che poi, all’indomani delle visite ufficiali, vengono inserite sulle pagine del quotidiano. Durante il periodo delle indagini, dal suo studio in viale Odorico Da Pordenone sono passati, solo per citarne alcuni, il presidente della Regione Rosario Crocetta, l’ex comandante dei carabinieri di Catania Alessandro Casarsa e l’ex ministro degli Interni Angelino Alfano.
Un eventuale uso privato del quotidiano che fa parte delle accuse mosse a Ciancio. Ma con una distinzione, espressa oggi in aula dall’avvocato Dario Pastore, in rappresentanza dell’Ordine dei giornalisti di Sicilia come parte civile: «La stessa procura dice che a essere sotto accusa non è la linea editoriale de La Sicilia – spiega il legale – ma semmai gli eventuali rapporti dell’editore e direttore con soggetti legati a Cosa nostra e la sua personale volontà di mettere loro a disposizione le sue attività imprenditoriali, tra cui quella editoriale». In parole povere, secondo Pastore, Ciancio avrebbe potuto indirizzare a loro insaputa alcuni giornalisti a occuparsi di temi utili agli affari dell’imprenditore, così come avrebbe potuto bloccare alcune pubblicazioni la cui decisione spetta solo a lui, come nel caso dei necrologi. «Se così fosse – conclude l’avvocato – i giornalisti sarebbero delle vittime».