Dopo l'abbandono di Vueling alle tratte per Roma, associazioni e politici denunciano una situazione intollerabile. Che però resta immutata da troppo tempo. Con un lato positivo: «Tra stereotipi e clichè, nelle difficoltà che ciascuno affronta ci si sente comunità»
Caro voli, i racconti di chi sceglie di tornare per Natale «Sono viaggi della speranza, ti chiedi se ne vale la pena»
Il Codacons si è spinto addirittura a parlare di «sequestro di persona», Federconsumatori ha puntato il dito sugli «incrementi di prezzi inaccettabili», il viceministro ai Trasporti Giancarlo Cancelleri l’ha definito «uno scandalo, vergognoso e inaccettabile». Come ogni anno, l’aumento del costo dei voli per la Sicilia (e dalla Sicilia) che si verifica da molti anni ha scatenato le rimostranze di cittadini, associazioni e classe politica. A dare il via alle polemiche, questa volta, l’abbandono delle tratte per Roma – da Palermo e Catania – da parte della compagnia aerea low cost Vueling.
Considerando l’assenza di un’adeguata rete ferroviaria per il treno e l’eccessivo dispendio di ore e carburante che comportano pullman, auto e navi, l’aereo resta infatti l’unico mezzo di trasporto da Roma in su. Come hanno testimoniato le associazioni a tutela dei consumatori, però, quest’anno gli aumenti dei biglietti per il periodo natalizio vanno da un minimo del 146 per cento a un massimo di oltre il 400 per cento. Ecco perché Cancelleri ha annunciato per questa settimana un incontro con «i dirigenti di Vueling, per capire i motivi per cui ha deciso di cancellare il volo Palermo-Roma, e quelli di Alitalia» (resta escluso Ryanair, notoriamente poco incline a trattative coi governi, ndr). Mentre la Regione Siciliana oggi dovrebbe presentare al ministero dei Trasporti la richiesta di continuità territoriale per gli aeroporti di Palermo e Catania.
Per coloro che vogliono tornare nel capoluogo siciliano e ricongiungersi alle proprie famiglie, intanto, non resta altro da fare che organizzarsi. Quasi nessuno, in realtà, ha atteso novembre per comprare i biglietti: perché se è vero che è difficile programmare con troppo preavviso le proprie ferie (per chi lavora) e il termine delle lezioni (per chi studia), è altrettanto certo che bisogna armarsi di pazienza, alla ricerca del prezzo migliore e del tragitto meno faticoso (quando è possibile). Abbiamo perciò scelto di riportare tre storie di emigrati palermitani, tra le decine che abbiamo ascoltato, che ben raccontano da una parte i disagi e le sofferenze, e dall’altra quel mix di resilienza e creatività che caratterizza la nostra Isola.
Salvatore vive a Milano con la moglie, anche lei palermitana. Due anni fa hanno allargato la famiglia con l’arrivo del piccolo Andrea. «Quest’anno ho speso 717,61 euro, tra andata e ritorno, per noi tre, portando solo il bagaglio a mano – racconta l’uomo – Trovo assurdo che se voglio fare vedere mio figlio ai nonni devo vendermi un rene o fare venti ore all’andata e venti al ritorno in macchina. L’anno scorso ho pagato 526 euro, ma avevamo imbarcato un bagaglio e il bambino non aveva ancora compiuto due anni e quindi pagava molto meno. Adesso, occupando un posto, paga tanto quanto un adulto e inoltre per risparmiare siamo tornati il 26 dicembre, perché nei festivi i biglietti costano meno».
Alessia, lavoratrice fuori sede, dopo diverse esperienze in giro, vive da due anni anche lei a Milano. «In realtà penso sia così da sempre – dice -, non trovo nessun cambiamento rispetto agli altri anni. Mi organizzo sempre per tempo e quest’anno ho pagato 180 euro tra andata e ritorno. Se dovessi farli ora pagherei 400 euro, ma era così anche cinque anni fa. Due anni fa non sono riuscita a fare i biglietti in tempo e per non pagare un rene ho dovuto prendere il treno: 19 ore, te lo raccomando», ironizza.
Denise vive a Trento da sette anni: dopo la laurea lavora come freelance nell’ambito della comunicazione. «Quando sono venuta qui non c’era nemmeno la tratta Ryanair, quindi figurati quante possibilità avevo di scendere – afferma – Quello di Natale è un viaggio della speranza, non si spendono mai meno di 250 euro. Il pensiero di ogni anno è se vale la pena spennarsi per tornare a casa. Molte volte sono scesa direttamente il giorno di Natale o il 31 dicembre, in questi giorni i voli costano meno perché ovviamente non li vuole prendere nessuno. Altre volte invece mi è sembrato di giocare a Tetris tra i vari mezzi di trasporto, quando magari le tariffe aeree erano salite troppo. Un anno ad esempio sono andata da Trento a Bologna con blablacar, da Bologna a Napoli con Flixbus, da Napoli a Reggio in treno, poi sono scesa a Reggio per arrivare a Messina col traghetto, e da lì l’ultimo treno fino a Campofelice. Un anno invece ho dovuto sobbarcarmi 22 ore di nave da Livorno, un’altra volta ancora sono scesa con blablacar da Verona insieme a una famiglia, e io ero quasi stipata tra le loro valigie».
Disagi inaccettabili, resi possibili dalla sete di profitto delle compagnie e sui quali la classe politica, nonostante i mille annunci, non interviene in maniera adeguata. Eppure per Denise questi «viaggi della speranza» hanno quasi un lato positivo. «Ci riconosciamo subito in aeroporto, noi emigrati – sorride – Si forma un’atmosfera da esodati, piena di clichè e di insopportabili stereotipi: la valigia che parte vuota e torna piena di dolci, i discorsi mitologici sulle interminabili partite a carte, i soliti racconti su chi si è abbuffato di più. Ma allo stesso tempo, nel racconto delle difficoltà che ciascuno di noi affronta per tornare, ci si sente comunità».