Siamo troppi, non possono ignorarci, grida un megafomane dal camioncino in testa al corteo degli studenti, mentre un altro spiega alla nostra matricola la sua paura per il futuro (In tempi di crisi ogni puttusu è paisi)- Non è un film
Caro diario, lUniversità è una cosa di strada
Caro diario,
l’Università è una cosa di strada.
Catania s’è svegliata presto, stamattina. Erano le 9 e in Piazza Roma cominciava il fermento. I vari gruppi si organizzavano, srotolavano i loro striscioni e cominciavano ad intonare gli slogan in rima tipici delle proteste itineranti, sotto lo sguardo attento delle forze dell’ordine.
Studenti delle scuole medie, delle superiori, insegnanti precari e di ruolo, ricercatori, dottorandi, universitari, hanno iniziato a sfilare sotto l’occhio attento delle forze dell’ordine.
“Né rossi, né neri: solo liberi pensieri”, gridavano un gruppo di ragazzi, sbandierando il tricolore e cantando l’inno d’Italia, coi caschi in testa e le maglie nere addosso.
«Non sono con noi», avvertono Alberto Spampinato e Giacomo Bellavia, rispettivamente Dirigente Nazionale e Presidente Provinciale di Azione Giovani, prendendo le distanze dai gruppi più movimentati e commentando gli scontri di Piazza Navona a Roma.
«Là la situazione si è incancrenita. Il problema è la ricerca del controllo della piazza: le due fazioni, sia di destra che di sinistra, non sono disposte a cedere terreno. Da questo nascono gli scontri. Queste manifestazioni, però, non sono fatti prettamente politici. La scuola riguarda gli studenti in quanto tali. Sì, è vero, ci sono delle cose da cambiare, ma questa riforma non tocca i veri problemi: la preparazione dell’organico, l’efficacia dei libri di testo, i programmi ministeriali che quasi nessun insegnante riesce a portare a compimento…»
Il corteo, frattanto, si snodava per la città e le stime sul numero dei partecipanti iniziavano a rincorrersi.
Siamo più di tremila. Che dici? Più di diecimila. Macché, qua si è fatto il botto. Quindicimila, ventimila, ed è solo l’inizio. I passanti si fermano, osservano, storcono il naso, sorridono, seguono la massa.
La marea è alta, l’Onda travolge. I volantinanti lavorano senza sosta, le sigle nate per l’occasione si accavallano, i megafomani si sgolano, perdono la voce ma continuano ad urlare.
“Siamo noi il cambiamento che vogliamo vedere avvenire nel mondo”, citano Gandhi le lenzuola con le scritte spray, tenute in alto dalle mani di decine di ragazzi, affiancati dai loro docenti e dal personale ATA delle scuole che frequentano.
Una donna, ferma sul marciapiede di via Etnea, osserva compiaciuta la folla.
«Sono un’insegnante delle superiori, e sono di ruolo», dichiara. «Qua ci sono i miei studenti e i miei colleghi, e io pure. Questa manifestazione è civile, organizzata meglio di molte altre che ho visto in passato. Sono contenta, è giusto che sia così. Non credo che i professori e i ragazzi siano strumentalizzati, al contrario di quanto s’è detto. La politica c’entra, come sempre, eppure in questo momento non è la cosa che più conta».
Le durissime parole di Cossiga le ha sentite?
«Sì… Solo all’ospizio dovrebbe stare, Cossiga!»
Dai camioncini con gli impianti acustici, Bob Marley incita ad alzarsi in piedi per difendere i propri diritti, e i manifestanti non tardano a dargli retta.
Si minaccia lotta dura, se non ci saranno cambiamenti. Uno studente non è d’accordo, agguanta un megafono e lascia che le casse amplifichino la sua voce.
«Le cose stanno già cambiando! Siamo troppi, non possono ignorarci! Noi non ci stiamo alle loro clientele, non ci stiamo alle loro mafie, e glielo stiamo facendo capire! »
Standing ovation. Lo studente torna tra gli altri, pacche sulle spalle. Qualcuno fa passare una bottiglia di vino, altri brindano con la birra, altri ancora gonfiano palloncini di tutti i colori, ché l’Onda è pacifica e non raccoglie le provocazioni.
Piazza Università e piazza Duomo sono gremite.
Più di trentamila persone, e dai balconi del Comune si affacciano loschi figuri incravattati, che fanno in fretta a tornare dentro. Quasi la manifestazione non li riguardasse, quasi non ne fossero toccati ché di striscio.
Alcuni portano a spalla una bara di legno e cartone, dentro la quale giace simbolicamente l’istruzione pubblica, altri affiggono manifestini, giacché l’Università è in vendita, alcuni camici bianchi mostrano orgogliosi un cartello: “i chimici reagiscono”.
Una bambina con le codine ed una magliettina rosa ride e brandisce un pugno chiuso. Sta sul camioncino, in mezzo a megafomani e volantinanti, e pare si diverta.
E si diverte anche un tipo con dei folti capelli ricci. Indossa un grembiule azzurro con il colletto bianco e, sulla schiena, s’è fatto disegnare una freccia rossa diretta verso il basso. Sul petto ha attaccato un foglio che sarebbe candido, se non fosse per i pochi tratti di penna a cui è assegnato il compito di trasmettere il suo messaggio.
“In tempi di crisi ogni puttusu è paisi”
Si volta, ghigna e ammette, modesto: «Questa è poesia».