Le università sono presìdi importanti per la libertà di ricerca e insegnamento, che è un bene tutelato dalla stessa Costituzione. Se, tuttavia, autonomia e autogoverno sono separati da qualsiasi riferimento, o addirittura dal rifiuto di un principio di responsabilità sociale, assistiamo alla degenerazione nell’autoreferenzialità, e alla perdita di fiducia nella nostra “utilità” per la società: è un passo della risposta che Giacomo Pignataro ha inviato alla redazione riguardo ai commenti suscitati dal suo precedente intervento su queste pagine. Eccola:
Ho letto i commenti che sono seguiti alle mie risposte alle domande che mi sono state rivolte su Step1. Mi scuso per alcune risposte, che possono essere sembrate molto “tecniche”, ma avevo il dovere di precisare alcune informazioni date in precedenza, e la loro fonte. La trasparenza e la verificabilità dei numeri evitano, secondo me, il loro uso “fumogeno”.
In generale, concordo con chi dice che la politica dell’ateneo non può limitarsi solo ai tagli. E’ evidente che, in questo forum, abbiamo discusso di tagli e risparmi di spesa, non perché sia l’unico indirizzo dell’Ateneo, ma perché Step1 voleva informare di un’iniziativa del Rettore, che riguarda specificamente il bilancio dell’Ateneo.
Dirò di più, la riflessione sulla missione dell’Università prescinde, a mio avviso, dalle esigenze di risparmio: il problema di come produciamo valore sociale con la nostra ricerca, con la nostra didattica, è sul tappeto da tempo. E’ evidente che si può produrre valore in un contesto in cui c’è un investimento sufficiente di risorse e un quadro di regole di funzionamento del sistema, certo e stabile. Secondo me, tuttavia, questa crescente “trascuratezza” nei confronti dell’Università (pubblica), sia che faccia parte di un disegno di privatizzazione sia che costituisca un mero atteggiamento di miopia dei governi che si sono succeduti, si regge su un consenso sociale intorno all’opinione che l’Università, come in generale tutto il settore pubblico, sia un luogo di sprechi e parassitismo. Su questo abbiamo il dovere di riflettere, anche autocriticamente.
Le Università godono di autonomia , come pochi altri enti e istituzioni del settore pubblico, e si reggono sull’autogoverno. Si tratta di presìdi importanti per la libertà di ricerca e insegnamento, che è un bene tutelato dalla stessa Costituzione. Se, tuttavia, autonomia e autogoverno sono separati da qualsiasi riferimento, o addirittura dal rifiuto di un principio di responsabilità sociale, assistiamo alla degenerazione nell’autoreferenzialità, e alla perdita di fiducia nella nostra “utilità” per la società. Dobbiamo, pertanto, rivendicare ma anche sapere innovare, per ristabilire un rapporto di fiducia con la società.
Aggiungo una considerazione sull’intervento di Luciano Granozzi. Non sono state fatte (ancora) valutazioni sugli effetti dei provvedimenti di blocco del turn-over sull’età media dei docenti. Esistono due effetti contrapposti: i pensionamenti contribuiscono a ridurre il peso delle classi più anziane del personale e, quindi, a contrarre l’età media dei docenti; la mancata immissione di giovani non contrasta l’invecchiamento di coloro che rimangono. Non sono in grado di dire quale dei due effetti prevalga, in termini numerici, per il nostro Ateneo. So per certo, tuttavia, che anche a Catania, come nel resto del Paese, il problema degli ingressi all’Università e del posizionamento dei giovani è molto grave. L’età media di ingresso nei ruoli dei ricercatori è di 35-36 anni, un’età alla quale, in molti Paesi, si occupano posizioni di professore. Mancanza di risorse, incertezza sulle regole, pesano. Come pesano, però, tante nostre decisioni sul reclutamento, sulla politica di formazione alla ricerca, e via discorrendo. Questo è, certamente, un ambito in cui possiamo cambiare tanto, creando le condizioni per un’Università “nuova”.
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