La decisione riguarda l'ex componente del tavolo nazionale di coordinamento sui migranti, e grande accusatore del sottosegretario all'Agricoltura Giuseppe Castiglione. La pena è stata inflitta in continuazione con quella a due anni e otto mesi stabilita a Roma per corruzione nella vicenda Mafia Capitale
Cara Mineo, Odevaine patteggia condanna a sei mesi Era accusato di turbativa d’asta e falso per l’appalto
Condanna patteggiata a sei mesi e 600 euro di multa. Finisce così la vicenda giudiziaria che vedeva alla sbarra Luca Odevaine nell’inchiesta della procura di Catania per l’appalto triennale del centro d’accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. Ad accogliere la richiesta dei difensori dell’imputato è stato il giudice per l’udienza preliminare Santino Mirabella. Il togato aveva stralciato la posizione di Odevaine nella precedente udienza, quando aveva invece disposto il rinvio a giudizio per altre 15 persone.
Il patteggiamento per Odevaine è stato disposto in continuazione con la sentenza del giudice per le indagini preliminari Claudio Carini, del tribunale di Roma, che il 3 novembre 2016 aveva accordato una condanna a due anni e otto mesi, oltre alla restituzione di 250mila euro. Cifra ritenuta pari al reato di corruzione per cui l’imputato era accusato dai magistrati capitolini nell’inchiesta che rappresentava un ulteriore troncone del maxi processo Mafia Capitale. Dove Odevaine resta comunque imputato per un altro episodio di corruzione in concorso con Salvatore Buzzi, presidente della cooperativa 29 giugno e ritenuto al vertice del mondo di mezzo.
Secondo i magistrati Odevaine, all’epoca dei fatti ex presidente della commissione aggiudicataria per l’appalto di Mineo, avrebbe ricevuto la promessa di una retribuzione da diecimila euro mensili, da aumentare fino a ventimila, dopo l’aggiudicazione del bando di gara dell’aprile 2014. In cambio di questo denaro, stando a quanto ipotizzato dai magistrati, l’uomo avrebbe dovuto assicurare che la gara fosse vinta del gruppo che faceva riferimento alla cooperativa La Cascina. Ipotesi che lo stesso imputato ha analizzato davanti i magistrati, con i quali ha iniziato a parlare dopo l’arresto nell’inchiesta di Mafia Capitale.
Il business dell’immigrazione, secondo Odevaine, avrebbe avuto tra i vertici il sottosegretario all’Agricoltura Giuseppe Castiglione. Il politico, originario di Bronte e genero dell’ex senatore Pino Firrarello, all’epoca dei fatti rivestiva il ruolo di presidente della provincia di Catania e soggetto attuatore del Cara di Mineo e dell’appalto triennale da cento milioni di euro. Castiglione, uomo di punta in Sicilia del ministro degli Esteri Angelino Alfano, ha sempre respinto ogni accusa e nell’inchiesta, in cui è indagato, ha optato per il giudizio immediato. Uscendo così dal troncone principale ed evitando il pesante fardello di un possibile rinvio a giudizio. Per lui il processo inizierà il 12 ottobre, davanti alla terza sezione penale del tribunale di Catania.
Il politico, che in passato ha anche rivestito i ruoli di eurodeputato e di parlamentare regionale, è accusato di turbativa d’asta e corruzione ma ha assicurato di essere «certo di riuscire a smontare l’ipotesi accusatoria dimostrando l’infondatezza di tutte le contestazioni». Secondo i magistrati Raffaella Vinciguerra e Marco Bisogni, dal 2011 al 2014 dietro l’appalto e la gestione del Cara di Mineo sarebbe stato creato un sistema basato su promesse di posti di lavoro in cambio di voti.
Nell’inchiesta sono coinvolti anche la sindaca di Mineo Anna Aloisi, di Ncd, e Paolo Ragusa, presidente del consorzio Sol Calatino. L’obiettivo finale, secondo i magistrati, sarebbe stato quello di trasformare quell’area del Calatino in una sorta di fortezza elettorale. Così vengono letti dagli inquirenti i risultati delle elezioni politiche e comunali a Mineo del 2013 e le europee del 2014.