Una foto di gruppo con la coppa, mostrata con orgoglio tra le mani, al termine di un torneo organizzato da un circolo di Foligno, in provincia di Perugia. Si tratta di uno degli ultimi fermi immagine in cui compare Vincenzo Scaletta. Sessantacinque anni, originario di Barrafranca ma residente a Pietraperzia, in provincia di Enna, e […]
Il campione di calcio balilla e gli affari della serra di cannabis all’ombra della mafia
Una foto di gruppo con la coppa, mostrata con orgoglio tra le mani, al termine di un torneo organizzato da un circolo di Foligno, in provincia di Perugia. Si tratta di uno degli ultimi fermi immagine in cui compare Vincenzo Scaletta. Sessantacinque anni, originario di Barrafranca ma residente a Pietraperzia, in provincia di Enna, e una passione per il calcio balilla cominciata quando di anni ne aveva appena sette. Quasi mezzo secolo, tra «alti e bassi», che lo hanno portato a laurearsi vice campione d’Italia a squadre nel 2021 e a trionfare nella propria categoria in un torneo nazionale tenutosi a inizio anno. Nella sua vita però non ci sarebbero state soltanto sponde, stecche e palline da mandare in rete. Scaletta, per i magistrati della procura di Caltanissetta, sarebbe stato un uomo chiave nell’organizzazione di un maxi traffico di droga tra il centro della Sicilia e Catania. Un affare, legato alla gestione di una piantagione di marijuana in un vivaio della cooperativa agricola Agriplanet, sviluppato all’ombra di alcuni personaggi orbitanti nel gruppo mafioso dei Ceusi, attivi nelle borgate Picanello e Ognina, nel capoluogo etneo.
Scaletta, insieme agli altri protagonisti di questa vicenda, è finito in carcere nei giorni scorsi nell’ambito dell’operazione Albana. Nome, quest’ultimo, preso in prestito dagli inquirenti dalla denominazione della contrada in cui l’insospettabile famiglia Aleo di Barrafranca si sarebbe occupata di portare avanti la piantagione di cannabis. Per il campione di calcio balilla, secondo le accuse, sarebbe stata fondamentale la collaborazione di Benedetto Paternò e del giovane e incensurato etneo Emanuele Arcidiacono, quest’ultimo bollato nelle carte dell’inchiesta come il «collante operativo» tra gli ennesi e il gruppo catanese. Nelle carte dell’inchiesta vengono elencate e descritte diverse trasferte tra le due province.
Il 18 agosto 2022 una Audi Q3 con a bordo Scaletta e Paternò viene individuata in via Caduti del Lavoro, vicino le abitazioni di Arcidiacono e dell’indagato Santo Riolo, nel quartiere Picanello. Passate tre ore l’automobile riparte in direzione Caltanissetta. Pochi giorni dopo toccava al solo Paternò raggiungere il capoluogo etneo. Dopo una breve sosta in una gastronomia in via Aquicella Porto la macchina raggiungeva via Villa Glori. «Apri Benedè, lo mettiamo nel cofano?», lo invitava Arcidiacono. «Come vuoi tu», rispondeva Paternò. Il pacco in questione, poi consegnato a Scaletta, avrebbe contenuto dei prodotti da utilizzare per la coltivazione della marijuana. «C’è scritto il bigliettino di dentro su come è il dosaggio», spiegava Scaletta a Valentina Aleo dopo essersi recato nel terreno della cooperativo agricola. Il campione di calcio balilla – ritenuto pure il reale titolare del chiosco bar Chiodo Fisso a Caltanissetta – condivideva la passione per il biliardino con lo stesso Arcidiacono.
Dal 14 al 17 ottobre 2022 il duo Scaletta-Arcidiacono parte alla volta della Sardegna per un torneo. Impegno che però non avrebbe precluso l’utilizzo, da parte dei catanesi, di alcune abitazione che gli ennesi avrebbero messo a disposizione dei complici etnei. Una di queste, in contrada Fiumara, riconducibile all’inconsapevole, perché residente in Svizzera, fratello di Scaletta. Mentre era in Sardegna Vincenzo Scaletta avrebbe dato direttive al sodale Paternò sulle modalità di soggiorno dei complici arrivati dal capoluogo etneo, sottolineando la necessità di non farli soggiornare in quella occasione a casa del fratello ma in un immobile in contrada Luogo. «Si potrebbe dormire là da te – diceva – lo sai che sono senza acqua a casa e che si è rotto il tubo là, no?». Il 22 ottobre 2022 gli investigatori monitorano una certa frenesia nel triangolo compreso tra le proprietà di Paternò e Scaletta e il vivaio in cui veniva coltivato lo stupefacente. Quel giorno, con diverse autovetture, arrivano a Barrafranca Santo e Salvatore Riolo e con loro Rosario Junior e Mario Piacente. «Il fine ultimo – si legge nell’ordinanza – era il prelievo di droga dal vivaio della famiglia Aleo».
A segnare uno spartiacque negli affari è il sequestro della piantagione, insieme ad armi e munizioni, avvenuto il 25 novembre 2022. I carabinieri arrestano uno degli Aleo, scoprono 441 piante e 100 chilogrammi, tra hashish e marijuana, già imbustati. Un fatto che raffredda i rapporti tra i due gruppi e ha come immediata conseguenza quella di fare alzare l’asticella della tensione. Qualcuno ha parlato? C’è stata una soffiata di una gola profonda? Domande che rimangono senza risposta, nonostante qualche sospetto da parte di alcune delle indagate. «Questa guerra non porta niente a nessuno», diceva intercettata una donna mentre si rivolgeva a Scaletta. «Sono venuti al locale l’altra volta, sono venuti in quattro», spiegava il campione di calcio balilla riferendosi ai catanesi. Un continuo botta e risposta in cui la donna arriva a consigliare all’uomo di girare armato. Disponibilità di armi che per gli inquirenti diventa emblematica anche grazie a una foto inviata su Whatsapp in cui proprio Scaletta impugna una pistola.