All'Assemblea regionale siciliana è stata bloccata la legge di riforma delle Camere di Commercio. Il sospetto che aleggia in aula è che dietro ci sia la volontà da parte di gruppi privati d'impossessarsi della società che gestisce lo scalo catanese con il più classico dei piatti di lenticchie. Ma la partita riguarda anche Palermo e Trapani
Camere Commercio, caso Sac dietro lo stallo della riforma? Il dubbio dell’Ars sulla scalata dei privati a Fontanarossa
Ancora una volta Catania torna al centro del dibattito politico siciliano. E’ stato così nei mesi scorsi e, per certi versi, lo è tuttora con i casi non risolti di Franco Cantaro e Angelo Pellicanò, i due dirigenti delle sanità prima nominati ai vertici di due strutture sanitarie etnee e poi bloccati (protagonisti di due ricorsi che non fanno dormire sonni tranquilli alla politica dell’Isola). E torna ad essere al centro dell’attività politica e parlamentare con la legge di riforma delle Camere di Commercio, bloccata martedì sera dall’assemblea regionale siciliana dal caso Sac, la società che gestisce l’aeroporto di Fontanarossa.
Un disegno di legge che sembrava tranquillo, addirittura secondario rispetto all’esercizio provvisorio e alla proroga dei precari degli enti locali, alla fine ha finito per dividere le forze politiche siciliane. Perché il dubbio che aleggia dalla destra al centro, fino alla sinistra è che dietro questa legge – nata per salvare i patrimoni delle Camere di Commercio della Sicilia dalla bulimia del governo Renzi che dal 1 febbraio prossimo rischia di incamerare tutti i beni camerali – si nasconda, in realtà, la volontà, da parte di gruppi privati, di impossessarsi della Sac con il più classico dei piatti di lenticchie.
La situazione è seria, perché, ad oggi, i cinque ottavi di questa società strategica fanno capo al sistema delle Camere di Commercio di Catania, Ragusa e Siracusa. Il dubbio è che, con un aumento di capitale irrisorio rispetto al valore economico della società aeroportuale, i privati assumano il controllo della Sac. Da qui il bailamme che si è scatenato ieri a Sala d’Ercole. Con la decisione, da parte della presidenza dell’Ars, di rinviare, per la seconda volta, la trattazione di questo disegno di legge al 20 gennaio prossimo (il primo rinvio è andato in scena la scorsa settimana). Riuscirà la politica siciliana a mantenere pubblica la Sac? Oppure finirà nelle fauci di qualche gruppo privato? Quest’estate la Società che gestisce lo scalo catanese ha annunciato di quotarsi alla Borsa di Milano e, di conseguenza, di aprirsi ai privati.
La partita è grossa. Perché l’aeroporto di Catania, al di là degli errori commessi nel recente passato dalla politica catanese, è destinato a diventare, piaccia o no a Palermo, l’unico hub della Sicilia. E in un Paese dove ormai, di fatto, le regole sul diritto al lavoro stanno cambiando, non certo a tutela dei lavoratori, impossessarsi della Sac significherebbe mettere le mani su un grande business, forse uno dei più importanti della Sicilia del domani, se è vero che il turismo è destinato a diventare l’elemento economico trainante della nostra Isola.
Tra l’altro, se i privati dovessero accaparrarsi la Sac, prenderebbero due piccioni con una fava: diventerebbero i padroni del più importante aeroporto siciliano e, contemporaneamente, si prenderebbero anche l’aeroporto di Comiso, gestito sempre dalla Sac. Quindi il controllo sul flusso turistico nelle aree del barocco di Noto e della provincia Iblea. E un’opzione importante sul trasporto via cargo dell’ortofrutta di Vittoria e di altre aree del Ragusano e del Siracusano (si pensi al pomodorino e al datterino di Pachino, già in parte monopolizzate dalle cooperative a causa dell’assenza di politiche regionali e del sostanziale ascarismo della politica aretusea), fino alla piana di Gela.
La partita che si è aperta all’Ars sulle società aeroportuali, oltre che la Sac di Catania e Comiso riguarda anche la Gesap di Palermo (la società che gestisce l’aeroporto Falcone-Borsellino del capoluogo siciliano, società risanata dal nuovo presidente, Fabio Giambrone, vicino al sindaco della città, Leoluca Orlando) e l’Argest, la società che gestisce l’aeroporto Vincenzo Florio di Trapani-Birgi. Ma il boccone più grosso, proprio per l’importanza destinata ad esercitare nel futuro della Sicilia, rimane la Sac.
Resta da capire che ruolo giocheranno le province regionali. Nel caso di Trapani, ad esempio, la provincia detiene il 49 per cento delle azioni che, insieme al 2 per cento che fa capo alla Camera di Commercio, assicura la gestione pubblica della società (il restante 49 per cento fa capo a un gruppo di privati). Nella Sac, oltre al già citato sistema delle Camere di Commercio di Catania, Siracusa e Ragusa, troviamo le province di Catania e di Siracusa e l’ex Consorzio Asi di Catania (oggi controllato dall’Irsap). Mentre non troviamo il Comune etneo.
A Palermo la provincia è addirittura l’azionista di maggioranza della Gesap con oltre il 40 per cento delle azioni. Superfluo ricordare che tutte le province siciliane sono commissariate e senza soldi. In pratica, proprio quest’anno non hanno nemmeno le risorse finanziarie per pagare il personale. Figuriamoci in che condizioni sarebbero chiamate a difendere l’interesse pubblico in caso di ricapitalizzazione delle società aeroportuali.
Insomma, la partita sulle società che gestiscono gli scali aerei dell’Isola è aperta. E i privati sono dietro l’angolo. A cominciare da Confindustria Sicilia, grande sponsor del governo regionale di Rosario Crocetta. Partita multipla che riguarda anche l’Ast (l’Azienda siciliana trasporti), Riscossione Sicilia (la società che gestisce la riscossione dei tributi nell’Isola) e la gestione dell’informatica che passerebbe dall’eliminazione fisica di Sicilia e-Servizi per fare spazio, neanche a dirlo, ai soliti privati.