Che fine ha fatto l’acqua del lago di Pergusa? «È andata in aria. Letteralmente è andata in aria. È evaporata interamente tutta la parte del battente idrico esistente». A spiegarlo a MeridioNews è Giuseppe Amato, referente Gestione risorse idriche di Legambiente Sicilia, che vive e lavora a pochi passi da quella che è ormai una distesa arida di fanghi essiccati grande 150 ettari. Una riserva naturale che non esiste più, come non esiste più quella del Lago soprano a Serradifalco, in provincia di Caltanissetta, ridotta a un cratere. E come rischia di non esistere più quella del Biviere di Lentini, in provincia di Siracusa. Giusto per fare qualche esempio.
«Questa cosa fa parte della natura stessa del lago – continua Amato – Tutta l’acqua da Pergusa si è sempre rinnovata tramite l’evaporazione. Ovviamente questo viene tenuto a bada dalla presenza delle piogge. Nel nostro caso l’unione tra la mancata presenza di piogge del 2023 e del 2024 insieme a lunghissimi periodi di temperature sopra la media ha fatto sì che l’acqua rimanente sia evaporata. Nulla di strano, quindi, ma è un fatto comprensibile. Non sappiamo cosa accadrà nel giro di qualche mese o di qualche anno – dice Amato – perché il cambiamento climatico non funziona, come pensa molta gente, in un solo senso. Il cambiamento climatico è una cosa talmente complessa che nel giro di qualche tempo si potrebbero verificare sulla Sicilia dei temporali anche abbastanza aggressivi, con quantitativi di pioggia notevoli nel breve periodo, di fatto degli uragani mediterranei».
Ma quanta pioggia servirebbe per resuscitare un lago che è attivo da millenni? «In questo momento per portare il lago a una condizione di accettabilità intanto dovremmo avere almeno un milione e mezzo di metri cubi d’acqua. Questo vorrebbe dire che dovrebbe piovere sulla zona dell’Ennese il quantitativo di tre o quattro anni di pioggia nel giro di qualche mese, cosa che non solo non ci aspettiamo, ma che sarebbe tragica: il nostro non è un territorio abituato a questa piovosità». Ma se la scomparsa del lago di Pergusa – al di là dell’impatto forte che può avere la vista così spettrale di una parte di territorio che dovrebbe invece essere rigogliosa – potrebbe essere una cosa che sta nella ciclicità della vita dell’ecosistema, più grave dovrebbe essere l’incapacità di cogliere i segnali che lo stesso territorio cerca di dare.
«Dell’agricoltura ci rendiamo conto, perché ne abbiamo notizia tramite gli agricoltori che se ne occupano – prosegue Amato – ma è la natura tutta che sta soffrendo e risentendo di questa crisi, anche se noi non ci rendiamo conto di quello che sta accadendo. Pergusa è solo l’indicatore del meteoclima siciliano, che ci sta dicendo “attenti, perché voi siete un hotspot del cambiamento climatico“. La posizione della Sicilia – dice Amato – è tale che porta l’Isola a essere un campanello d’allarme con effetti superiori rispetto a quanto sta accadendo altrove».
Quali potrebbero essere allora le soluzioni praticabili per cercare di rallentare un cambiamento climatico che invece avanza ad ampie falcate? «Esistono tante soluzioni – dice il referente Gestione risorse idriche di Legambiente Sicilia – La prima è quella di rendersi conto che il cambiamento climatico esiste e che è una verità estremamente complessa, per la quale l’unica regola scientifica utile è il principio di precauzionalità: siccome il rischio è gravissimo, noi dobbiamo comunque decidere che alcune cose non si possono più fare, come ricorrere alle fonti fossili come maggiore fonte di energia. Poi, soprattutto a livello politico e amministrativo, dobbiamo iniziare a ragionare sull’acqua come un’unica risorsa – non divisa in irrigua e idropotabile – e in cui dentro ci sono anche le acque reflue: è impossibile che la Sicilia non depuri le sue acque, soprattutto quando ha un bisogno enorme di acqua per l’agricoltura. La speranza è lì. Il clima ci porterà ad avere sempre più bisogno di una concezione unica e questo strano 2024 ce lo sta spiegando».
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