Dopo l'apertura di un fascicolo per omicidio ed epidemia colposi da parte della procura calatina, si comincia a fare ordine su quanto avvenuto nella struttura per anziani. Anche un'anziana ex gestora è risultata positiva ed è in Terapia intensiva
Caltagirone, cosa si sa sulla casa di riposo Don Bosco Dal contagio della dipendente ai morti con Covid-19
Gli aspetti da chiarire sono tanti. Con il 90 per cento degli ospiti e otto lavoratori della casa di riposo Don Bosco contagiati dal Covid-19 c’è da aspettarsi che l’attenzione su Caltagirone non si spegnerà in fretta. Ci sono poi i morti: quattro persone (due calatine e due di San Michele di Ganzaria) il cui tampone avrebbe dato esito positivo. Una donna di 94 anni è deceduta all’ospedale Garibaldi dopo il blitz notturno voluto dall’assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza per svuotare la struttura. L’età degli ospiti non ha certo remato a loro favore: le condizioni di salute pregresse in molti casi non erano delle migliori. E l’indagine della procura di Caltagirone servirà a chiarire un punto non di poco conto: decessi per coronavirus o con coronavirus?
I magistrati hanno aperto un fascicolo, al momento contro ignoti: le accuse ipotizzate sono di omicidio ed epidemia colposi. L’inchiesta è ancora agli inizi ma gli inquirenti stanno acquisendo materiale. E Gaetano La Rosa, infermiere e presidente della cooperativa che gestisce la struttura, ha chiamato l’avvocato catanese Dario Riccioli ad assisterlo. «Non possiamo dire se tra i deceduti ci fossero persone con il tampone positivo, perché non siamo in possesso di queste informazioni», dice Riccioli, raggiunto da MeridioNews.
La ricostruzione del legale coincide con quella fatta sulla stampa in questi giorni: dal 6 marzo all’interno della comunità alloggio calatina sarebbero state vietate le visite e sarebbero stati distribuiti i dispositivi di protezione individuale al personale. Poco meno di un mese dopo, il 4 aprile, nella villa diventata la casa di molte persone di una certa età si addensano i primi sospetti. Il marito di una dipendente amministrativa, infermiere all’ospedale di Caltagirone, viene sottoposto al test del tampone e risulta positivo. La donna sarebbe stata messa in isolamento domiciliare e il 7 aprile la sua positività sarebbe stata confermata.
«La struttura si è immediatamente messa in contatto con l’Asp per chiedere i tamponi per tutti. Però, in quel momento, non erano disponibili», precisa l’avvocato. Sono i giorni della carenza di reagenti e delle provette che si impilano, senza potere essere analizzate, nei laboratori del Policlinico di Catania. I risultati arrivano il 20 aprile. Lo stesso giorno viene rifatto il tampone e poche ore dopo arrivano gli esiti che danno il numero finale: 39 positivi. Che arriveranno a 41 nei giorni successivi. Nel novero c’è anche una parente del presidente della cooperativa, anche lei in passato attiva nella gestione della Don Bosco, attualmente intubata e in Terapia intensiva all’ospedale di Caltagirone.
«L’assistenza sanitaria degli ospiti – continua Riccioli – è demandata ai medici curanti. Sono stati contattati per le prescrizioni ai pazienti, così come sono stati contattati gli ospedali affinché prendessero in carico gli anziani. Ma fino alla chiusura della struttura, nella notte tra il 24 e il 25 aprile, non sono arrivate risposte». Adesso nell’edificio non c’è più nessuno. Gli ospiti sono stati distribuiti negli ospedali della provincia di Catania. Sono pochi quelli che non hanno contratto il virus.
Il primo cittadino di Caltagirone, Gino Ioppolo, ha chiesto alle altre strutture simili del suo territorio di compilare una scheda con una serie di informazioni sulle persone a cui danno alloggio. La scadenza era per le 12 di ieri, ma non sono arrivate le risposte di tutte le comunità. «Verificheremo quelle che mancano e perché, poi valuteremo eventuali azioni da intraprendere, sempre nei limiti delle possibilità che mi dà la legge». Tutte le schede, comunque, saranno trasmesse all’Asp, affinché l’Azienda sanitaria provinciale abbia un quadro più chiaro degli anziani nel Calatino. «È possibile che l’Asp decida di adottare questo protocollo per tutta la provincia catanese», annuncia Ioppolo.