Calcio Catania, apocalittici e integrati Quando la partita si gioca in tribunale

Sono un tifoso apocalittico. Penso che il calcio, quello vero, sia ormai cosa d’altri tempi. So che ciò che ne resta, un giorno o l’altro, si estinguerà. E penso che il declino della mia squadra, il suo precipitare dai cieli della serie A in cui abbiamo svolazzato felici per otto anni, sia un chiaro segno della prossima fine del mondo. Sono un tifoso apocalittico e, in quanto tale, non cerco mai alibi per chi non li merita. Non mi unisco al coro dei vittimisti, che vedono complotti e ingiustizie dove c’è solo l’infinito cinismo dei dirigenti che ci hanno trascinato fin qui. Non voglio assomigliare neanche un po’, Dio liberi, a quegli juventini che sarebbero pronti a beatificare Moggi, pur di non ammettere di aver rubato chissà quanti scudetti. Sono un tifoso apocalittico e non faccio sconti ai dirigenti della mia squadra: mi arrabbio anzi se questi dirigenti, anziché dirigersi il più lontano possibile da me, si ostinano ancora a comandare sulla suddetta squadra e addirittura – allo scadere di un mese senza vittorie, e con una classifica che per il terzo anno consecutivo ci vede annaspare tra le retrocedibili – trovano perfino il modo di rincarare i biglietti per lo stadio. Come è avvenuto sabato, in occasione della partita contro il Foggia di De Zerbi: squadra che in campo si è mostrata più forte della nostra, e che dobbiamo in fondo ringraziare per non avere mai affondato i colpi nelle nostre debolezze. Andando via dal Massimino con un pareggio che, per quel che s’è visto in campo, ai nostri avversari sta un po’ stretto.

Sono un tifoso apocalittico. Però, ora che ci penso, sono anche un tifoso integrato. Perché, nonostante tutto quello che ho visto e che so, non riesco a non nutrirmi di quel che rimane del gioco del calcio. Perché, a dispetto della messe imponente di intimazioni in senso contrario ricevute dalla realtà, non sono capace di trascorrere una domenica – o sabato, o lunedì che sia: la liturgia del calcio di una volta ormai è finita chissà dove, nello stesso posto dove sono andate a cacciarsi le mezze stagioni – senza seguire la mia squadra, non importa da che luogo e con che mezzo. Non riesco a non emozionarmi almeno un po’, se solo intravedo il terzino sinistro Nunzella sgroppare infaticabile sulla fascia; o a non sorridere di soddisfazione se dall’altra parte della difesa vedo, come sabato sera, l’imberbe Parisi che finalmente imbrocca una partita giusta, mentre i due centrali difensivi Bergamelli e Pelagatti chiudono ogni spazio, concedendo una serata di riposo al portiere Bastianoni. Non riesco a non arrabbiarmi con Pancaro quando tiene in campo fin quasi al novantesimo l’involuto Scarsella e, per la seconda partita consecutiva, toglie con anticipo Musacci – non sempre lucido, ma tatticamente utile – sottraendo conseguentemente il bravo Agazzi al ruolo di mezzala, nel quale secondo me gioca meglio che da mediano. Non riesco, insomma, a non appassionarmi ai destini di semisconosciuti giocatori di serie C, e a non pontificare su di essi con la stessa serietà (e probabilmente con la stessa incompetenza) con cui anni fa pontificavo di Spinesi, o di Andujar o di Mascara. Non riesco a non guardare le partite con la più fanciullesca serietà di questo mondo. Con quella serietà terribile – diceva Calvino – che i ragazzi sono soliti mettere nei loro giochi. E che non sembra avere alcuna intenzione di andar via con il trascorrere degli anni.

Sono un tifoso apocalittico e tuttavia integrato. E, con questa lacerata identità, mi appresto a seguire la partita che si giocherà la settimana prossima nelle aule di non so più quale tribunale sportivo romano. Dove si discuterà il ricorso del Catania, che vorrebbe restituiti almeno parte dei punti di penalizzazione inflittigli per le malefatte di Pulvirenti e soci. Lo farò con il timore, a tutti gli effetti apocalittico, che uno sconto di pena possa in fondo rafforzare la posizione di chi, pur avendo promesso ai quattro venti di andarsene, continua malgrado tutto a comandare sulla sua società e di conseguenza sulla mia squadra. E tuttavia – da integrato quale sono – non mancherò di sorridere se ci verrà restituito qualche punto. Né mancherò di chiedermi – comunque vada a finire, e tanto più ove la sentenza risultasse sfavorevole – quanto tempo ci vorrà ancora perché la giustizia sportiva, dopo aver giustamente sanzionato i compratori di partite, si decida ad agire con la stessa efficacia contro chi le partite le ha vendute. Cosa che fin qui non è avvenuta. Il che finisce per fornire qualche argomento all’integrato che abita in ciascuno di noi.

Per fortuna non c’è una tribuna da cui si possa assistere, pagando il biglietto, a questa partita che sarà giocata dagli avvocati. Né ci sarà una qualche web tv che ne trasmetta le immagini, sia pure con qualche secondo di ritardo. Andrà a finire che ne aspetteremo il risultato aggiornando di continuo le pagine web. Come un tempo, per conoscere da lontano i risultati delle partite, aggiornavamo di continuo le pagine del Televideo dedicate alle serie più infime. O come, in un tempo ancora più lontano, accendevamo l’apparecchio a transistor per guardarle, quelle partite, a occhi chiusi. Riuscendo a farle nascere dalla voce di un radiocronista.

A questo ci siamo ridotti. Noi, integrati che non siamo altro; in un tempo carico, come sappiamo benissimo, di tutti i segni dell’Apocalisse.

Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.


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