Buco di bilancio, un tecnico l’unico colpevole Assolti i membri delle giunte Scapagnini

Un falso c’è stato, ma a compierlo è stato solo un tecnico. Il processo sul buco di bilancio al Comune di Catania si conclude al secondo grado con una sola condanna: quella a un anno e otto mesi dell‘ex ragioniere capo Vincenzo Castorina. Assolti, perché il fatto non costituisce reato, i 13 membri delle due giunte guidate dall’ex sindaco Umberto Scapagnini che in primo grado erano stati ritenuti colpevoli di falso ideologico. Si tratta degli ex assessori Francesco Caruso, Giuseppe Arena, Santo Li Gresti, Giuseppe Maimone, Giuseppe Siciliano e Gianni Vasta, condannati in primo grado a due anni e nove mesi. E Filippo Drago, Stefania Gulino, Mimmo Rotella, Salvatore Santamaria, Nino Strano, Mario De Felice e Giuseppe Zappalà, a cui era stata comminata una pena inferiore di sei mesi. Per l’ex primo cittadino Scapagnini è stato disposto il non luogo a procedere a seguito della sua morte.

La Corte d’Appello ha quindi capovolto la sentenza di primo grado. L’unico responsabile del buco di bilancio – a cui il regalo da 140 milioni di euro prelevati dai fondi Fas da parte del governo Berlusconi ha messo una pezza – è l’ex ragioniere capo. «Attendiamo le motivazioni, intanto è stato accertato che i bilanci sono stati falsificati – commenta Enzo Guarnera, avvocato di Cittàinsieme, parte civile nel processo – ma evidentemente i politici si sarebbero limitati a credergli, controfirmando un atto di cui non avevano un’esatta comprensione. Forse è stato valutato l’elemento psicologico, ma significherebbe che i politici sono tutti stupidi. Quantomeno – conclude – gli assessori al Bilancio dovrebbero sapere cosa c’è nelle carte».

L’accusa per Scapagnini e le sue due giunte era aver falsificato i bilanci consuntivi del 2004 e del 2005, per evitare il dissesto finanziario che avrebbe portato a un loro decadimento e alla successiva incandidabilità. Il procedimento era partito da un parere negativo dei revisori dei conti del Comune che aveva fatto seguito ad alcune osservazioni della Corte dei Conti. La Procura aveva quindi posto l’attenzione sui bilanci del biennio 2004-2005 scoprendo operazioni finalizzate alla falsificazione dei conti e un buco di centinaia di milioni di euro. In particolare l’accusa aveva rilevato la vendita di alcuni immobili alla società comunale Catania Risorse, per coprire un disavanzo di 40 milioni di euro. Beni che però risultavano inalienabili.

«Sono stato condannato per aver evitato il default del Comune – si è difeso Castorina in una nota -. Nel 2005 e nel 2006 ho fatto ciò che la mia coscienza mi imponeva, obbedendo alle leggi ed in osservanza delle deliberazioni degli organi competenti, giunta e consiglio comunale, senza alcun interesse personale. Sono certo che chi si comporta osservando queste regole non possa essere condannato dalle istituzioni dello Stato. La sentenza – ha concluso – non è definitiva e sono convinto che la Corte di Cassazione riconoscerà il mio diritto alla piena innocenza».

Il giudice monocratico di primo grado aveva addirittura aveva aggravato la richiesta di condanna dei pubblici ministeri. Successivamente fu archiviato il capo d’imputazione più grave, quello di abuso d’ufficio. Ma le tesi dell’accusa non hanno retto alla prova del secondo grado. La sentenza di oggi arriva con ritardo anche a causa della richiesta di ricusazione di uno dei giudici della Corte d’appello, Sebastiano Mignemi, da parte dei legali degi imputati Arena, Drago e Siciliano. Che, nel marzo del 2013, chiesero che Mignemi non partecipasse alla decisione perché faceva parte anche del collegio che condannò Scapagnini e l’ex parlamentare del Pdl Nino Strano in un altro processo, quello per la cenere vulcanica. Il giudice Migemi nel maggio scorso decise di astenersi dal giudizio.

Salvo Catalano

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