Bronte: dopo l’arresto, Calanna indossa il tricolore «Non mi sono dimesso per il bene di questa città»

«Dopo che la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio le ordinanze emesse dal Gip e dal Tribunale del riesame, il sindaco Graziano Calanna questa mattina ha nuovamente indossato la fascia tricolore». Comincia così un comunicato stampa del Comune di Bronte sul rientro in municipio del primo cittadino, dopo oltre cento giorni di arresti domiciliari. Il politico 48enne, difeso dagli avvocati Carmelo Peluso e Mariella Mirenda, rimane indagato per istigazione alla corruzione e subito dopo la retata della guardia di finanza nel blitz Aetna era stato sospeso dal suo incarico su disposizione del prefetto di Catania Claudio Sammartino. A tirare in ballo Calanna erano state alcune telefonate intercettate durante le fasi di un’inchiesta più complessa. La stessa che ha svelato un presunto giro di corruzione per la gestione monopolistica del turismo sull’Etna da parte dell’imprenditore Francesco Russo Morosoli.

«Chi fa l’amministratore pubblico sa che, mettendo centinaia di firme, rischia di sbagliare qualcosa, ma mai avrei immaginato di essere arrestato. Ritenevo, infatti, che chi non ha rapporti con la mafia e chi non ruba non possa mai essere arrestato», dichiara Calanna nella nota diffusa ai giornalisti dal municipio brontese. «Non mi sono dimesso – spiega ancora il sindaco – perché non c’era motivo e perché sapevo che non avrei fatto il bene della città». Nella ricostruzione degli inquirenti, Graziano Calanna avrebbe chiesto a un imprenditore di incrementare i costi di un possibile lavoro per circa 20mila euro, pari a un incarico di consulenza.

Davanti al giudice per le indagini preliminari Calanna aveva rigettato ogni accusa. Spiegando senza giri di parole di «non avere mai chiesto utilità illecite per sé o per i propri amici e dimostrando come nel particolare caso di finanza di progetto, la ipotizzata condotta di istigazione alla corruzione sarebbe stata del tutto impraticabile». In particolare, riferiscono i suoi legali, ha dichiarato di «avere manifestato l’interesse pubblico all’opera, esaurendo gli atti di sua competenza perché ogni ulteriore approvazione sarebbe stata appannaggio del Consiglio comunale di Bronte».


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