Un'ordinanza sindacale che non è stata fatta rispettare. E il numero dei feriti da fuochi d'artificio che cresce. «Mancano le campagne di informazione e sensibilizzazione», dice il primario di Chirurgia plastica del Cannizzaro Rosario Emanuele Perrotta. Le immagini dell'articolo potrebbero urtare la vosta sensibilità
Botti di Capodanno, le vittime aumentano «Il problema non si risolve solo coi divieti»
«Non pensavo che potesse succedere veramente». È questa la risposta più comune che si sentono dare gli autosoccorritori da chi si ferisce con un botto. Un problema «culturale» con cui devono fare i conti, oltre alle vittime, anche i sanitari. Che, negli ultimi giorni, hanno visto un aumento dei casi per trauma da scoppio. Nonostante l’ordinanza sindacale che vieta i fuochi d’artificio a Catania sia ancora in vigore, infatti, all’ospedale Cannizzaro, passato Capodanno, continua la conta di feriti e amputati per l’esplosione di petardi. «Dal 30 dicembre a oggi abbiamo preso in cura otto pazienti per traumi da scoppio», spiega il direttore dell’unità operativa di Chirurgia plastica Rosario Emanuele Perrotta. «Quest’anno abbiamo registrato un netto incremento di casi rispetto all’anno scorso. Non me lo aspettavo ma, evidentemente, gli appelli, i divieti e le ordinanze non sono serviti a niente», aggiunge il direttore sanitario della struttura Angelo Pellicanò. Una statistica sulla quale Perrotta aggiunge: «I casi in più rispetto al Capodanno 2014-2015 sono due o tre», dice.
Tra i casi più gravi trasportati al polo ospedaliero del Cannizzaro – un centro di riferimento per la presenza dei reparti di chirurgia vascolare e plastica – figurano un ragazzo di 16 anni che ha perso una mano e il cittadino egiziano colpito a un arto inferiore da un botto scoppiato in piazza Duomo, durante il concerto di fine anno. Per quest’ultimo i medici hanno decretato l’amputazione di un piede e «non sappiamo ancora se il paziente sarà oggetto di altri interventi chirurgici perché, in casi del genere, il trauma può intaccare diversi tessuti del corpo», afferma il primario di chirurgia plastica. Perché, come per le ferite da guerra, soltanto con il passare del tempo si può verificare se qualche scheggia, dopo l’esplosione, è finita in un’altra parte del corpo della vittima. «La situazione, per adesso, è in continua evoluzione», dice Perrotta, in riferimento all’egiziano che ha perso l’arto.
Per Perrotta, però, la questione dei cosiddetti botti di Capodanno non si può limitare esclusivamente al «bollettino di guerra». Perché alla ferita da petardo seguono, dopo l’intervento chirurgico, i percorsi di riabilitazione fisica e psicologica. L’ultimo dei quali, nella fattispecie, presuppone una forte presa di coscienza da parte della vittima «in merito al fatto che qualcosa cambierà, per forza di cose, nella sua vita», sottolinea Perrotta. Un iter che parte dal letto di ospedale, dove il sostegno psicologico è garantito dagli specialisti del Cannizzaro, e continua spesso anche dopo le dimissioni. Il processo, in generale, è molto più delicato del previsto perché «molte persone non hanno la consapevolezza culturale di quello che può comportare giocare con i fuochi d’artificio. O per meglio dire, sanno quali sono i rischi ma non li tengono in considerazione nel momento in cui compiono l’azione», sostiene Perrotta. Al netto del fatto che, in alcuni casi, i feriti sono vittime dell’azione di qualcun altro.
Per lo specialista a mancare nella città di Catania sono le campagne di sensibilizzazione contro l’utilizzo dei fuochi d’artificio, insieme a quelle che spiegano come farne uso senza farsi male. «Nonostante, personalmente, mi sentirei di incentivare altri passatempi», aggiunge Perrotta. Che dice: «Bisognerebbe fornire a tutti i cittadini gli elementi base della questione, uno fra tutti il divieto assoluto di raccogliere da terra i petardi rimasti inesplosi». «Se alle persone, inoltre, venisse detto cosa significa vivere senza una mano, senza un braccio o senza un piede per via di un attimo di divertimento generato da un petardo penso che tutto sarebbe diverso». Motivo per cui «non si può pensare di risolvere il problema soltanto emanando ordinanze sindacali che vietino l’uso dei fuochi d’artificio. Sono sempre più necessarie le campagne di informazione, a partire dalle scuole», conclude Perrotta.