Era stata la terza sezione penale del Tribunale di Catania, pochi giorni fa, a concedere gli arresti domiciliari per Giacomo Nuccio Ieni, accusato di essere un boss del clan Pillera, precedentemente sottoposto al carcere duro in regime di 41 bis: sarebbe gravemente malato di depressione e la detenzione deteriorerebbe troppo le sue condizioni di salute. Ma ieri, secondo quanto si è appreso in ambienti giudiziari, la Procura di Catania ha depositato l’appello contro la decisione che aveva suscitato tanto scalpore. Non è stata ancora fissata la data dell’udienza. Ma la pubblica accusa, di fronte al provvedimento di scarcerazione, non è rimasta inerte.
«Sulla persona del Ieni sono state eseguite ben tre perizie sanitarie d’ufficio, l’ultima delle quali a novembre 2008, che ne hanno effettivamente confermato la depressione, però questo non è risultato incompatibile con la custodia cautelativa in carcere». Queste le parole di Vincenzo D’Agata, procuratore generale di Catania, che, pur non entrando nel merito dell’appello (per il quale deve ancora essere fissata l’udienza) ha accettato di rispondere alle domande di Step1. «Si era evidenziato come potrebbe essere utile inserire Ieni in un programma presso una struttura sanitaria penitenziaria. Il tribunale, invece, ha deciso di dare più risalto ad una quarta perizia, di parte, nonostante tutto quello che “di parte” significa…».
L’operazione Atlantide è quella che ha portato all’arresto di Ieni. Cosa riguardava?
«L’operazione, datata novembre-dicembre 2006, riguardava trentadue persone imputate per associazione a delinquere di stampo mafioso. Gli si contestavano estorsioni e traffici di stupefacenti. Sono stati, inoltre, sequestrati numerosi beni, anche allo stesso Ieni che è stato identificato quale reggente del gruppo Pillera, nominativo che, pur non avendo la notorietà che hanno avuto altri soggetti – Santapaola ed Ercolano, per dirne un paio –, ha notevolissima caratura criminale».
Giacomo Nuccio Ieni è stato condannato?
«Il procedimento è ancora in corso, però dei trentadue indagati ben quindici hanno patteggiato sia in primo che in secondo grado, e pure nel ricorso in appello, riportando condanne. L’impianto accusatorio non è per nulla approssimativo».
E adesso Ieni è agli arresti domiciliari…
«Nella sua casa di Catania. Era stato sottoposto al regime di 41 bis perché ci s’era accertati che dalla normale detenzione lui manteneva contatti con l’esterno. Adesso è tornato nel suo domicilio: un capoclan rimesso in libertà quasi per fargli riprendere la sua attività. Se si pensa, poi, che non è stato neanche disposto il provvedimento di disattivazione del servizio telefonico… La Procura non può restare inerte sul piano operativo, né taciturna sul piano della reazione verbale».
Quant’è pericoloso un precedente del genere, cioè che un detenuto passi dal 41 bis ai domiciliari?
«Speriamo che si tratti di un caso isolato, ma se dovesse essere un precedente che fa giurisprudenza, il fatto (peraltro non definito da nessuna consulenza) che l’affetto della famiglia sia una medicina, potrebbe essere molto pericoloso. Significherebbe che qualsiasi detenuto, mostrando insofferenza per la detenzione – e vorrei trovare qualcuno che non ne mostri – potrebbe avere la libertà provvisoria o i domiciliari. Questo caso non è trascurabile, e colgo con una certa sorpresa l’indifferenza e il silenzio che c’è stato da parte di altri organi responsabili. Li ho visti mobilitarsi per molto meno».
Fin da subito la Procura ha contestato il provvedimento che concede i domiciliari. Con quali argomenti giuridici?
«Ci sono dei profili di fatto che lasciano un po’ sorpresi. Per esempio, con approssimazione si parla di “pericolosità del soggetto”, mentre il concetto della pericolosità non rientra nei parametri tramite cui si può disporre la misura cautelare, per cui invece si parla di “esigenze cautelari”, legate alle prove, alla possibilità della reiterazione del reato, al pericolo della fuga… Anche la stessa valutazione dello stato di malattia, se rapportata ai parametri di valutazione di solito applicati, non risulta in linea col dettato codicistico».
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