Gli ultimi giorni sono stati caratterizzati da una forte incidenza di roghi nella provincia etnea. I vigili del fuoco - impegnati dall'Oasi del Simeto al Parco dell'Etna - hanno cercato di domare le fiamme. I cui effetti, però, potrebbero determinare problemi anche alle città a valle. Che non avranno schermi dalle piogge autunnali
Boschi a fuoco, lo spettro del dissesto idrogeologico «Rischiamo desolanti scenari da sbarco sulla Luna»
L’estate in Sicilia non si declina esclusivamente in sole, mare e vacanza. Lo sanno bene gli uomini del corpo Forestale della provincia di Catania che da giorni sono impegnati a contare i danni degli incendi scoppiati dall’Oasi del Simeto al Parco dell’Etna. Sulla cui matrice stanno indagando le forze dell’ordine, sempre più convinte di piste dolose purtroppo difficili da dimostrare. Gli ultimi roghi, in ordine di tempo, sono quelli che hanno interessato aree boschive del vulcano patrimonio dell’Unesco. Nello specifico si tratta di contrada Timpone ad Adrano e Sparavita a Zafferana Etnea. Luoghi a valle dei quali il prossimo autunno si potrebbe dover fare i conti con il dissesto idrogeologico.
Questi sono i giorni della bonifica del terreno, un intervento necessario a eliminare tutti i resti dei focolai che, complice il vento, si sono riaccesi. Uno stato di emergenza che si ferma alle prime luci dell’alba, dopo l’intervento della forestale. A pagare le spese dei roghi, in primo luogo, specie animali e arbusti di macchia mediterranea. In quest’ultimo caso «a Zafferana Etnea sono andati in fumo roverelle, lecci e castagni – spiega il comandante del corpo Forestale locale Pietro Calanna -, Ci vorranno dagli otto ai dieci anni affinché ritornino a popolare la zona». Un fenomeno che rischia di avere ricadute anche da un punto di vista climatico e idrogeologico.
Entra nel merito il presidente dell’Ordine degli agronomi etnei Corrado Vigo. «Gli incendi, oltre a distruggere habitat animali da sottobosco e vegetali, abbattono i delicati equilibri dell’ambiente», premette l’esperto. «L’assenza di fogliame, arbusti, cespugli di qualunque tipo essi siano, aumenta il rischio di dissesto idrogeologico delle zone a valle perché – spiega – viene a mancare la trattenuta del terreno». Problemi che non riguarderebbero solo i luoghi direttamente interessati dagli incendi ma tutti i territori situati in pendenza. «Nelle zone prossime a quei siti, quando in autunno inizieranno le prime piogge ci potrà essere un maggiore accumulo di acque che, nel corso del loro tragitto a valle, non troveranno impedimenti», sottolinea Vigo.
Ragion per cui, i roghi sono «non solo un problema per gli animali e le piante ma anche per l’uomo e i suoi insediamenti», conclude il professionista. Auspicando una maggiore sensibilità da parte della cittadinanza «a segnalare immediatamente gli incendi alle forze dell’ordine così da salvare il salvabile». Un nodo su cui fa leva anche il presidente del circolo Legambiente di Zafferana Etnea Alfio Contarino. Per lui le zone inghiottite dalle fiamme di questi giorni – da Catania all’Etna – rischiano di «trasformarsi in scenari da sbarco sulla luna: desolanti». Nella frazione Sarro nel giro di poche ore «è scomparso un giovane bosco che cercava da tre anni di mettersi in forze e diventare rigoglioso dopo – spiega l’attivista – essere stato raso al suolo quattro anni prima da un altro incendio».
«La vegetazione medio-bassa si è praticamente azzerata e nemmeno le querce sopravvissute stanno bene. Ci vorranno decine di anni prima che tutto ritorni al suo posto sperando – prosegue Contarino – che nel frattempo non ci siano altri roghi». Un augurio, quest’ultimo, che «lascia il tempo che trova: da dieci anni a questa parte i connotati dell’ambiente a valle dell’Etna sono cambiati per via dei frequenti incendi». Episodi «spesso attribuiti alla folle azione di piromani che non conoscono le conseguenze di tali atti». Anche per lui gli effetti sono due: «Rischio di dissesto idrogeologico e incidenza negativa sui vari microclima, che diventeranno sempre più secchi e aridi», conclude l’esperto.