Borsellino, chieste condanne per mafiosi e falsi pentiti «Scarantino è attendibile sulle pressioni psicologiche»

Si avvia alla conclusione il quarto processo per la strage di via D’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino e cinque poliziotti della scorta, in corso davanti alla Corte d’Assise di Caltanissetta. Oggi, alla fine della requisitoria, il procuratore di Caltanissetta Amedeo Bertone ha chiesto la condanna all’ergastolo per i mafiosi Salvo Madonia e Vittorio Tutino, in quanto ritenuti responsabili della strage di via D’Amelio e inoltre ha sollecitato otto anni e sei mesi per Vincenzo Scarantino e 14 anni ciascuno per Francesco Andriotta e Calogero Pulci, i tre falsi pentiti accusati di calunnia per le false dichiarazioni rese durante le prime indagini.

Smontato il teorema fondato sul falso pentito Vincenzo Scarantino, gestito dal pool degli investigatori dell’ex questore Arnaldo La Barbera, il nuovo corso giudiziario sulla strage è ora ispirato dalle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza dalle quali sono scaturite due svolte. Una è quella che ha portato alla revisione del processo a sette personaggi già condannati all’ergastolo (Salvatore Profeta, Cosimo Vernengo, Giuseppe Urso, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Gaetano Scotto, Gaetano Murana). E l’altra è quella che ha innescato questo processo: il quater. 

Sono rimaste le ombre sulle strategie e sugli obiettivi di chi ha guidato la macchina investigativa anche con l’archiviazione delle posizioni di tre uomini-chiave del pool come Salvatore La Barbera, Vincenzo Ricciardi e Mario Bo. «Non siamo qui per fare processi ai giudici che si sono occupati dei processi Borsellino uno e Borsellino bis. Sappiamo quanto sia difficile giudicare. Ma c’è una enorme quantità di interrogativi a cui dare risposta e ci saranno nuove indagini per questo», ha detto l’aggiunto Gabriele Paci nel corso della requisitoria. «Scarantino, da solo, non avrebbe mai potuto imbastire una trama sulla strage di via D’Amelio talmente coerente da resistere a diversi gradi di giudizio – ha aggiunto Paci – Ma, detto questo, non è possibile ignorare che Scarantino si impegnò nell’accusare persone che sapeva innocenti e lo fece per un tornaconto personale, consistente nell’uscire dal carcere e avere dei benefici. È stata sfruttata la fragilità di Scarantino per riuscire a dare valenza di prova a elementi che erano solo intuizioni». 

Paci ha riservato ampio spazio al nodo del presunto depistaggio delle prime indagini dopo la strage del 92. «C’è traccia di abusi, di contatti irrituali e connivenze tra investigatori e indagati per la ricerca di elementi che sostenessero una pista investigativa che all’epoca era plausibile, ma si ignorarono i campanelli di allarme che arrivavano dalle dichiarazioni contraddittorie di Scarantino sulla strage di via D’Amelio». Nessun dubbio invece sulle pressioni subite da Scarantino. «Vincenzo Scarantino è attendibile quando parla di avere subito pressioni psicologiche per rendere determinate dichiarazioni sulla strage di via D’Amelio».

Il procuratore capo Bertone ha invece voluto commentare la decisione di non prendere in considerazione le dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta Antonino Lo Giudice che chiama in causa l’ex poliziotto soprannominato «faccia da mostro», individuato in Giovanni Aiello, accusandolo di essere coinvolto nelle stragi del 92. «Le dichiarazioni del pentito di Lo Giudice sono assolutamente inconcludenti per quanto riguarda i processi che ci riguardano. E vorrei dire, a chi ci sollecita mediaticamente dall’esterno, che non è affatto vero che la Procura di Caltanissetta guarda Giovanni Aiello come Donald Trump guarda un clandestino messicano». L’udienza è stata rinviata al 9 gennaio per l’inizio delle conclusioni dei legali di parte civile.


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