Più di un secolo di carcere per i boss del quartiere a due passi dal salotto buono della città, colpiti dal blitz di un anno fa. Eppure l’atmosfera nella zona non sembra essere migliorata, anzi. Ritorsioni, piccole e grandi, per alcuni negozianti continuano a essere normale amministrazione
Borgo Vecchio, quella mafia che resiste ad arresti e condanne Commerciante: «Ora è anche più difficile lavorare e vivere qua»
«L’ultima denuncia l’ho fatta appena una settimana fa. Ma tanto è un continuo di irruzioni, danni e ritorsioni». Malgrado la frequenza, il commerciante bengalese di Borgo Vecchio non riesce ad abituarsi a quello con cui deve fare i conti quasi quotidianamente. Per lui quella piccola putìa in via Archimede è tutta la sua vita, da quando ha lasciato il Bangladesh. Non può permettersi di piegarsi alle richieste del quartiere, pizzo compreso. Quello che ha denunciato un anno fa, insieme a tutto il resto, dagli episodi più piccoli a quelli più gravi, contribuendo al blitz che ha portato all’arresto di presunti picciotti del quartiere. Tredici dei quali sono appena stati condannati in abbreviato a oltre un secolo di carcere. L’accusa? Quella di essere stati parte della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio, in seno alla quale per i giudici avrebbero commesso rapine, soprusi ed estorsioni. E tra le vittime c’è anche lui, tra i pochi a denunciare.
Eppure l’uomo rimane impassibile alla notizia fresca di stampa di quelle condanne, che certo non gli faranno rivedere quei volti per un po’ di tempo. «Uno già è uscito, ha fatto tre mesi di galera e poi gli hanno dato i domiciliari. Credo abbia finito anche quelli perché è di nuovo in giro, mentre il padre è ancora in galera» dice, tentennando sui nomi, ma mostrando sicurezza sulle fattezze dei due. Nemmeno la parola mafia porta ombre sul suo viso: «C’è ancora – osserva con candore -. E qui è tutto come prima, anzi, è più difficile lavorare e vivere qui ora. Sotto di loro ce ne sono altri, anche se qualcuno va in galera, ci sono i più giovani pronti a fare le stesse cose. Persino i bambini di dieci anni o anche meno». Il clima che descrive è ben lontano dai fasti di arresti e condanne. E anche se dopo la sua denuncia, l’ennesima, il pizzo non glielo chiede più nessuno in maniera esplicita, il quartiere si è rivelato pronto a ingegnarsi in altri modi.
«Rompono tutto quello che gli capita a tiro, il muro del negozio, il motorino posteggiato, la bicicletta che lascio qua davanti, il portone di casa, tutto. Qualcuno è venuto a chiedere soldi, ma adesso succede più spesso che entrano in negozio e fanno per portarsi, che so, quattro barrette di cioccolato, due pacchi di pasta, cose così, e tirano dritto verso l’uscita senza alcuna intenzione di pagare. Ma io non glielo permetto – racconta il commerciante -. Qualcuno mi chiede proprio se gliele regalo le cose o mi prende in giro e mi dice che verrà dopo a pagare, ma quando tornano, se tornano, è solo per prendere altre cose usando lo stesso metodo. Qua è una mentalità normale, sono in tanti che si comportano così». Cerca di opporsi come può e prova a tenerli fuori dal suo negozio. Ma la pratica che descrive diventa ogni giorno più diffusa, «anche da parte di chi non è magari propriamente un criminale o un mafioso. Mi disturbano sempre, e non succede solo a me, succede a tutti qui, stranieri e italiani, non fa differenza».
«Comunque c’è uno strano movimento di macchine, di persone, qui la sera – dice a un certo punto -. Secondo me non hanno ancora deciso chi deve essere il nuovo capo della zona, quello che deve gestire questi giri, penso questo. Non è cambiato niente, il quartiere questo è. Io continuo a denunciare e la polizia continua a venire, ho smesso di contare i danni ormai». Ma per un commerciante che si sbottona e ammette senza peli sulla lingua che un blitz non basta a cambiare l’anima più profonda di un quartiere come questo, ce ne sono almeno altri dieci pronti a sorridere e a dichiarare che lì a Borgo Vecchio non li ha mai infastiditi nessuno. Come asserisce un connazionale, anche lui da anni nel quartiere col suo piccolo negozio di generi alimentari, che di mafia non ha mai neanche sentito parlare. «Arresti? Condanne? Mai sentito niente di tutto questo, lo sento adesso per la prima volta. Qui non è venuto mai nessuno». E sorride, congedandosi e invitando ad uscire dal negozio, che è a pochissimi passi da quel commerciante che invece non la smette di chiamare i carabinieri.
«Io lavoro in questo quartiere da 18 anni, non sono mai successi episodi eclatanti – racconta un altro commerciante, straniero anche lui -. Mi hanno chiamato anche i carabinieri per chiedermi queste cose, se è mai venuto qualcuno qui in negozio da me a pretendere dei soldi, però non mi ha mai disturbato nessuno in realtà. Qua più che altro il problema è quello dei piccoli ladri, ragazzini che entrano e rubano qualcosa o ne rompono altre, ma io ho le telecamere». Cinque anni fa, però, non sono certo dei bambini a fargli trovare l’attack nel lucchetto della saracinesca. Un segnale che lui, lì per lì, non riesce neppure a decifrare. Non come farebbe, al volo, un palermitano, almeno. «Ne parlai con un caro amico, che era italiano. Lui mi chiese se fosse successo prima qualcosa, pensai che il giorno prima era entrato in negozio un tipo che pretendeva di portarsi via una confezione d’acqua senza pagarla, ma io ho insistito che non si poteva fare». Il giorno dopo ecco spuntare la supercolla. L’amico però minimizza, forse non vuole farlo preoccupare e ipotizza una ragazzata. Lui non è troppo convinto, però, e decide di denunciare tutto, e qualche giorno dopo nel suo negozio arrivano gli agenti di polizia per fare un sopralluogo. «Da quel momento non è successo più niente. Non mi hanno disturbato più, non so agli altri».
Tre approcci al quartiere, per così dire, diversi, malgrado l’esperienza sia presumibilmente simile per ognuno di questi commercianti. Che restituisce la misura di quanto sia effettivamente complesso scegliere di collaborare, se vivi e lavori in un quartiere come Borgo Vecchio. «Collaborare dopo che si è stati convocati dalle forze dell’ordine, provenendo da quartieri come questo dove tutti si conoscono, il tuo estorsore gestisce un negozio di fronte alla tua abitazione o al tuo esercizio commerciale, chi ti ha chiesto il pizzo, i suoi parenti e suoi amici, con cui magari giocavi insieme da piccolo, li incontri per strada, in chiesa, al bar della piazza e a volte anche a scuola perché i tuoi figli frequentano lo stesso istituto di quello loro, è tutt’altro che semplice», osservano all’indomani della sentenza i volontari di Addiopizzo, che hanno supportato alcuni negozianti che si sono costituiti parte civile al processo. Chi collabora rimane ancora una minoranza «perché in una città come Palermo, dove Cosa nostra con i suoi codici culturali e i suoi interessi ha imperato per decenni, è illusorio pensare che si possano creare carovane e maggioranze di commercianti e imprenditori pronti a denunciare. Una minoranza che, però, rappresenta una possibilità di cambiamento che seppure non si sia compiuto si è avviato anche grazie a chi ha “soltanto” collaborato».