Inizia il secondo giorno di protesta nell'istituto catanese, dove gli studenti si sono introdotti per protestare contro alcune scelte del Comune di Catania e del governo nazionale. Nonostante l'ordine di liberare l'istituto in trenta minuti, arrivato dalle forze dell'ordine, i giovani si trovano ancora dentro i locali
Boggio Lera, gli studenti occupano il liceo Assemblea rifiuta di ascoltare i carabinieri
Hanno chiuso le porte del liceo scientifico Boggio Lera di Catana ieri alle 13, dopo una mattinata di autogestione e un’assemblea d’istituto autoconvocata durante cui è stata presa, in accordo con i compagni di scuola, la decisione di occupare l’istituto. Scelta condivisa anche dai ragazzi del liceo classico Spedalieri e presa in considerazione da quelli di Mario Cutelli, Galileo Galilei e Lombardo Radice. Diverso il discorso della scuola De Felice che, tramite i suoi rappresentanti, fa sapere di non volere occupare l’istituto.
Sono un centinaio i giovani studenti del Boggio Lera che hanno trascorso la notte a scuola e che dalla mattina si sono attivati per riportare l’ordine e la pulizia nelle aule dove trascorrono la maggior parte del loro tempo. «Inizialmente abbiamo occupato solo una parte e abbiamo lasciato fuori gli uffici della segreteria – raccontano a Meridionews il rappresentante degli studenti Jacopo Di Stefano e il rappresentante alla consulta provinciale Giona Panarello, barricati nell’edificio – Ma da oggi – continuano – la scuola appartiene per intero a noi ragazzi e proseguiremo su questa linea finché l’assemblea degli occupanti lo riterrà opportuno».
Tre i motivi che hanno portato alla protesta. «Vogliamo che il Comune aggiorni la lista dei beni confiscati alla mafia e ne metta uno a disposizione degli studenti – continuano i rappresentanti – e siamo contrari al modo in cui viene attuata l’alternanza scuola lavoro prevista dalla legge sulla Buona scuola». I giovani lamentano inoltre la poca attinenza delle proposte lavorative con il percorso di studi e la riduzione degli spazi dedicati alla pratica nei progetti formativi.
Ma l’attenzione si concentra anche sulle condizioni in cui versa la succursale Leonardo Grassi di piazza Risorgimento. «In palestra e in alcune classi ci sono infiltrazioni d’acqua e l’intonaco cadente – spiegano – sono stati montati i ponteggi ma si sono limitati a ridipingere la facciata senza sistemare i problemi strutturali». Una soluzione sarebbe spostare la sede a Librino, «con grandi disagi – dicono gli studenti – per chi vive in centro».
Tra le visite che gli occupanti hanno ricevuto durante la prima mattinata, non sono mancati i carabinieri e la Digos. I primi hanno dato ai ragazzi due ultimatum di 30 minuti per liberare il corridoio centrale e gli uffici, a cui l’assemblea ha risposto in maniera negativa. La polizia, invece, si era recata nella scuola già ieri, chiamata da una madre preoccupata, come spiegano i rappresentanti. «Quando la scuola stava per procedere i più piccoli si sono sentiti spaesati e una ragazzina voleva uscire prima del suono della campana». Ad attenderla fuori dalla struttura scolastica il papà, che si è trovato ad avere un diverbio – trasformatosi in quella che alcuni testimoni raccontano come una rissa – con uno studente sedicenne. «I poliziotti hanno controllato e rilasciato questa testa calda, è stato un momento di agitazione ma non ci sono state denunce».
Durante la giornata sono stati organizzati gruppi di studio, momenti di dibattito politico e di attualità – su argomenti come il post referendum e le elezioni americane – un club del libro, un cineforum e qualche progetto sportivo in palestra. Attività che proseguiranno fino alla sera e a cui potrebbe aggiungersi una cena sociale con studenti e professori dell’istituto, che hanno fatto visita ai propri alunni spiegando loro, senza schierarsi apertamente, i rischi della scelta di occupare.
«Abbiamo un dialogo aperto con tutte le componenti scolastiche» chiarisce Panarello, che insieme a Di Stefano fa sapere che l’occupazione andrà avanti finché non verrà data una risposta da parte delle istituzioni. «Se le promesse dovessero risultare vane? Torneremmo a protestare per i nostri diritti» conclude il ragazzo.