Su 21 milioni di euro concessi, oltre 16 sono svaniti senza lasciare tracce. «Una consapevole volontà di conferire alla somma erogata una destinazione diversa», secondo i magistrati che ora accusano i vertici dell'azienda di «malversazione ai danni dello Stato»
Blutec, spariti nel nulla i fondi destinati allo stabilimento Testimone: «Ginatta disse non uso quei soldi per Termini»
«Una consapevole volontà di conferire alla somma erogata una destinazione diversa», dimostrando di «sapere agire con lucidità e pervicacia». Sembra svanire di colpo il sogno di rilancio dello stabilimento di Termini Imerese. Durato oltre otto anni, oggi ha subito una dura battuta d’arresto con la notifica al presidente del consiglio di amministrazione e all’amministratore delegato della Blutec di un provvedimento di arresti domiciliari. La misura segue quella di sequestro dell’intera società con sede a Rivoli e degli stabilimenti sparsi per il Paese, compreso quello palermitano. E ora le accuse per Roberto Ginatta e Cosimo Di Cursi sono di «malversazione ai danni dello Stato». Nei loro confronti è scattato anche un provvedimento di interdizione, per 12 mesi non potranno esercitare imprese e uffici direttivi.
Per gli inquirenti, infatti, mancherebbero oltre 16 dei 21 milioni di euro di contributi statali destinati al rilancio del polo industriale siciliano dopo l’addio di Fiat, oggi Fca, nel dicembre del 2011. Per questo è stato firmato pure un sequestro cosiddetto per equivalente da 16,5 milioni, la cifra che sembra essere svanita nel nulla. Il progetto di riconversione per il polo di Termini doveva essere concluso entro il dicembre 2016, poi una nuova scadenza era stata concessa al giugno 2018. Ma per gli inquirenti, si legge nelle carte, risulterebbe in «maniera cristallina» non solo che alla data del 30 giugno 2018 le opere oggetto del programma di sviluppo industriale non erano state ultimate, ma altresì che le somme erogate in anticipo alla data del 31 dicembre 2016 «non vennero destinate allo scopo, ma destinate a utilizzi del tutto diversi, così come facilmente deducibile non solo dagli esiti degli accertamenti bancari effettuati, e dalle verifiche condotte dalla stessa Invitalia».
Un comportamento che per gli inquirenti si tradurrebbe nella «consapevole volontà di conferire alla somma erogata una destinazione diversa». Una volontà che in questo caso «sembrerebbe indubbia» anche solo sulla base degli accertamenti bancari effettuati che «testimoniano un complesso giro di operazioni finanziarie volte da un lato a speculare sulle somme ottenute a titolo di finanziamento» e, dall’altro, a far confluire tali somme «sui conti di altre società facenti parte del gruppo Metec spa». Ad oggi, le somme ricevute risultano «disperse»: dei 21 milioni anticipati, solo 5 sarebbero stati realmente impiegati nel sito palermitano per l’acquisto di macchinari e il pagamento degli lavoratori. Le prove sinora raccolte porterebbero a ritenere che gli indagati «abbiano preordinato la distrazione di dette somme». Accuse rafforzate dalle dichiarazioni rese ai magistrati dal rappresentante legale di una società di consulenza tecnica che vantava un credito nei confronti di Blutec: «Riguardo i mancati pagamenti relativi ai miei compensi ho prospettato a Roberto Ginatta la circostanza per la quale, nel giro di poco tempo, sarebbero stati erogati alla Blutec i primi parziali importi dell’interno finanziamento. Alle mie considerazioni, lo stesso mi diceva che non si sognava di investire tutti quei soldi nello stabilimento di Termini Imerese».
Secondo gli inquirenti, inoltre, «non vi è dubbio che il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per cui si procede sia concreto e attuale». Da qui la necessità della misura cautelare «per la gravità della condotta posta in essere e dalle allarmanti conseguenze anche sociali che ne sono derivate», evidenti qualora si consideri che il finanziamento era stato concesso a Blutec da Invitalia all’esclusivo scopo di concorrere alla riconversione e riqualificatine del polo industriale di Termini. E ancora, dalle modalità delle condotte che apparirebbero come «precisa espressione di un progetto preordinato e che quindi incidono significativamente sulla intensità del dolo». E, infine, dalla «negativa personalità» di alcuni indagati che dalle stesse condotte avrebbero dimostrato di «sapere agire con lucidità e pervicacia», dapprima accedendo a finanziamenti pubblici stanziati per consentire la realizzazione di opere e attività di pubblico interesse, poi «distraendo le ingenti somme erogate in loro favore e utilizzandole per scopi esclusivamente privatisti».