Daniele La Barbera, professore ordinario di Psichiatria e direttore della clinica psichiatrica universitaria di Palermo, nelle ultime settimane ha analizzato in città tre casi di giovani che si sono imbattuti nel fenomeno. Di cui spiega a MeridioNews i contorni e i modi per prevenire il rischio emulazione
Blue whale, tra bufale e tam tam mediatico «Reale o no, ormai le 50 regole circolano»
Anche a Palermo si parla del Blue whale, fenomeno mondiale i cui veri contorni restano indefiniti a causa del passaparola preoccupato dei genitori e dello scarso controllo delle fonti operato su alcuni mezzi di comunicazione. Con il rischio concreto di contribuire all’emulazione. In città diversi casi hanno messo in allarme le forze dell’ordine, non ultimo quello di una ragazza che avrebbe minacciato di togliersi la vita come prova finale. Del fenomeno Blue whale, tradotto letteralmente Balena blu (che rievoca l’immagine dei cetacei spiaggiati e misteriosamente morti), si inizia a parlare a maggio 2016, quando un quotidiano di Mosca pubblica la notizia di ottanta morti sospette.
«La Russia – racconta Daniele La Barbera, professore ordinario di psichiatria e direttore della clinica psichiatrica universitaria di Palermo – è il Paese del mondo con il maggior numero di suicidi, quasi tre volte in più dell’Italia. Nel caso specifico, solo una decina di morti sono state verificate e ricondotte a questo gioco perverso e solo in una fase successiva le forze militari russe hanno accertato l’esistenza di alcuni gruppi della morte che, attraverso un social network simile a Facebook e a un cosiddetto tutor, propagandavano le cinquanta regole. L’ultima delle quali prevedeva il suicidio».
Un tam tam mediatico che è uscito dai confini russi e che continua a viaggiare in modo inarrestabile sui social network e sulle chat, trascinando dietro di sé dubbi e incertezze, dato che alcune sue componenti sono facilmente studiabili e verificabili e altre un po’ meno. «In perfetta sintonia con il concetto di bufale – continua il professore La Barbera -, spesso viene diffusa una notizia tendenzialmente falsa, o meglio non accertata completamente, che poi via via sfugge di mano, innescando un modello di emulazione. È accaduto questo con il Blue whale, termine coniato dal mondo della comunicazione. L’effetto è che, vera o falsa che sia la notizia, le regole circolano innescando uno stato di ansia in molti ragazzi».
La fascia di età facilmente influenzabile è quella che si estende dai dieci anni alla maggiore età. La pratica di questo fenomeno che porta a gesti autolesivi ha dei destinatari ben precisi. «Nelle ultime settimane – racconta il professore La Barbera – ho seguito tre ragazzi che avevano ricevuto sul loro smartphone le famose regole e, trovandosi spiazzati e in un forte stato di ansia, sono venuti nel mio studio. Ma è capitato anche il caso di una ragazza che prima ancora di arrivare a gesti autolesionistici ha attraversato altre problematiche non del tutto sconnesse da questo fenomeno».
«In particolare, questa paziente a undici anni era già stata vittima di cyberbullismo – aggiunge l’esperto -. L’anno successivo era diventata anoressica, per poi arrivare a compiere gesti autolesionistici e adesso è corsa da me in forte stato di angoscia perché anche lei aveva ricevuto le famose regole. Ritengo, quindi, che a essere colpiti siano i ragazzi fragili, con pochi riferimenti in famiglia e a scuola e con scarsa propensione al dialogo». Tra questi ci sarebbe la frangia di adolescenti che, secondo diverse statistiche, usa il proprio corpo per manifestare il disagio.
«Una volta ho chiesto a una ragazza il motivo per cui ha deciso di procurarsi dei tagli e di entrare in un sistema perverso, dove il Blue whale sembra adesso la punta di un iceberg – spiega il professore La Barbera -. La risposta è stata “perché tagliandomi in quel momento non sento alcun dolore morale“». L’accesso al mondo virtuale dove ognuno è libero di conoscere e scoprire solo i dati che interessano, unita alla precoce età di diverse esperienze, sembrano contribuire a sedimentare fenomeni quali il Blue Whale. «Ritengo che genitori, insegnanti e istituzioni dovrebbero continuamente porre attenzione sui segni di disagio e mantenere un contatto con i giovani, lasciando aperto un canale di dialogo che non si trasformi in atteggiamenti repressivi – conclude La Barbera-. Il rischio è che le vite di questi ragazzi si svolgano in modo distante e sganciato dalla realtà che sono chiamati a vivere».