Blitz a Palermo, gli affari di Cosa nostra e il controllo dei mandamenti in videochiamata dal carcere

Una mafia ancorata ai vecchi dettami e che riesce ancora ad avere una notevole influenza sul territorio. Questo, in estrema sintesi, quanto emerge nell’ambito del blitz antimafia portato a termine a Palermo da 1200 carabinieri provenienti dai comandi provinciali della Sicilia. Nel corso della notte sono stati eseguiti i provvedimenti cautelari nei confronti di 163 persone, delle quali 33 già detenute per altra causa. I reati contestati, a vario titolo, sono associazione per delinquere di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsioni, consumate o tentate, aggravate dal metodo mafioso, associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, favoreggiamento personale, reati in materia di armi, contro il patrimonio, la persona e esercizio abusivo del gioco d’azzardo, e altro. Nel mirino dei magistrati della procura di Palermo i mandamenti Porta Nuova, Pagliarelli, Tommaso Natale-San Lorenzo e Bagheria. Nel contesto della medesima operazione, i carabinieri del reparto anticrimine del R.O.S. hanno eseguito un’ordinanza cautelare nei confronti di 20 persone fra capi e gregari del mandamento Santa Maria del Gesù, di cui 3 già detenuti.

I cellulari in carcere

Durante le indagini è documentato il sistematico utilizzo di smartphone criptati che consentono comunicazioni – anche di gruppo – sicure, limitando all’essenziale la necessità degli incontri e delle riunioni tradizionali. Questo sistema di comunicazione ha reso possibile il dialogo, costante e riservato, non solo con i trafficanti di droga ma anche tra i vari mandamenti. Le indagini hanno poi riscontrato la possibilità di introdurre negli istituti penitenziari minuscoli apparecchi telefonici e migliaia di sim card al fine di neutralizzare le attività di intercettazione, circostanza che ha consentito ai detenuti, dalle loro celle, di continuare ininterrottamente la militanza mafiosa, seppure in videochiamata.

La commissione provinciale è solo un ricordo

Sono emerse stabili e documentate interlocuzioni con esponenti della ‘Ndrangheta di Reggio Calabria e di Cosa nostra agrigentina e catanese. Seppure oggi non si possa parlare di una nuova commissione provinciale, il dato acquisito è quello del coordinamento e della gestione intermandamentale degli affari più delicati e lucrosi. Nello specifico, le attività hanno documentato i fortissimi legami venutisi a creare tra alcuni dei più importanti mandamenti mafiosi palermitani, ovvero quelli di Tommaso Natale/San Lorenzo, Porta Nuova, Brancaccio, Noce-Cruillas, Pagliarelli e Santa Maria di Gesù nella gestione coordinata di affari illeciti connessi con il traffico di sostanze stupefacenti. Più in generale, è emerso il ruolo preminente dei mandamenti cittadini su quelli della provincia. La struttura verticistica dell’organizzazione criminale e il rispetto delle sue rigide regole, vengono oggi emblematicamente rappresentati da alcune conversazioni captate nel mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale. Una delle persone sottoposte a indagini avrebbe ribadito che da Cosa nostra si può uscire solo con la morte, spiegando il concetto stesso di reggenza mafiosa, che conferiva temporaneamente l’autorità della direzione del mandamento in capo a chi in quel momento si trovava in libertà, fino al momento in cui non fosse stato scarcerato qualcuno a lui sovraordinato.

Un altro importante richiamo al rispetto delle rigide regole emergeva quando un indagato residente in provincia di Palermo aveva subito un torto da parte di un soggetto di Siracusa e, al fine di realizzare un intervento punitivo nei confronti del contendente, si sarebbe rivolto alla persona ritenuta a capo della locale famiglia mafiosa. Questi gli avrebbe però fatto notare la necessità di seguire un percorso gerarchico che passasse in primo luogo dalla città di Palermo al fine di gestire la vicenda. Un altro elemento cardine dell’attività mafiosa è stato rappresentato durante una riunione riservata tra i presunti appartenenti alla consorteria dello Zen. Uno di loro avrebbe evidenziato la necessità di individuare un soggetto capace e affidabile, pienamente inserito nel contesto associativo mafioso, che svolgesse il ruolo di cassiere. Questi sarebbe stato il detentore e custode di tutti i proventi delle attività illecite del sodalizio, soldi necessari per il mantenimento delle famiglie dei detenuti. I proventi, confluiti in una cassa unica, garantivano quella solidità economica necessaria nonché la stabilità del potere mafioso nel corso del tempo nonostante i cambi al vertice dell’organizzazione, come quello che il suddetto prevedeva proprio allo Zen quando sarebbe stato sostituito. Il nuovo reggente infatti avrebbe fatto affidamento al cassiere, chiedendo un rendiconto del lavoro svolto e apprezzando, nel caso di una gestione oculata e precisa delle risorse economiche, il lavoro dei sodali e di chi lo aveva preceduto.

Lezioni di mafia per le nuove leve

Per la famiglia di Santa Maria del Gesù sarebbe invece il capo famiglia a tenere il libro mastro su cui sono metodicamente indicate le attività economiche sottoposte ad estorsione e annotate le entrate e le uscite, necessarie anche a garantire il sostentamento agli uomini d’onore detenuti. Nonostante l’organizzazione mafiosa nel corso degli anni sia stata colpita da diverse attività investigative riesce ancora ad esercitare una forza di attrazione su un nutrito numero di giovani che ne sposano i principi e si mettono a disposizione per accattivarsi la stima dei rappresentanti di riferimento. È emersa non solo la necessità da parte dell’organizzazione di trovare nuovi adepti ma anche quella di formarli secondo le regole della consorteria. Emblematica è la vicenda che riguarda il mandamento mafioso Pagliarelli e nello specifico il reclutamento, da parte della famiglia di Corso Calatafimi di un giovane, ritenuto legato a un mafioso detenuto, al fine di avviarlo alle attività illecite tipiche del sodalizio non prima però di averlo istruito circa i principi cardine di Cosa nostra attraverso vere e proprie lezioni di mafia. Il giovane sarebbe stato preso in carico da un indagato che gli avrebbe offerto specifiche indicazioni invitandolo a prendere esempio dal proprio modo di agire nei confronti delle persone da sottoporre ad estorsione nonché consigliandolo su come rapportarsi ai vertici mafiosi.

Traffico di droga e tassa per lo spaccio

Tra le attività criminali più remunerative per l’organizzazione criminale vi è il traffico di stupefacenti, nel cui ambito gli interessi sono così alti che vi è una gestione coordinata da parte dei mandamenti cittadini. Sono emersi i rapporti che i mandamenti palermitani hanno intrapreso con le altre provincie dell’isola e con la ‘ndrangheta calabrese per le forniture. Il traffico di stupefacenti oltre a garantire importanti proventi da reinvestire o da utilizzare per il sostentamento di affiliati e famiglie dei detenuti, consente all’organizzazione, attraverso il controllo delle piazze di spaccio, di esercitare una pressante azione di controllo del territorio. I pusher possono approvvigionarsi dal canale autorizzato e controllato dal mandamento oppure utilizzarne un altro, pagando all’organizzazione mafiosa una tassa. La non osservanza di tali imposizioni viene punita dagli esponenti mafiosi anche con violente ritorsioni. Nel corso dell’attività sono stati complessivamente sequestrati 43 chilogrammi di cocaina, 8,5 chilogrammi di hashish ma anche 335 grammi di crack, sostanza stupefacente sempre più diffusa tra i giovanissimi di Palermo.

Scommesse online: business fondamentale

Il gioco digitale, al pari del traffico di stupefacenti, rappresenta una delle attività più remunerative per Cosa nostra che in tal modo, oltre al controllo del territorio attraverso l’imposizione mafiosa dei pannelli di gioco, può contare su importanti introiti che consentono di rimpinguare le casse dell’organizzazione e quindi di sostenere le famiglie dei detenuti e gli affiliati. L’imprenditore del settore scommesse che intenda promuovere l’utilizzo del sito di sua proprietà, sigla accordi di cooperazione con i vertici mafiosi e quindi si avvale della forza di intimidazione mafiosa per imporre il proprio sito alle agenzie di scommesse del territorio. Uno spaccato dell’attuale scenario in materia di gioco digitale è emerso in maniera significativa dalle attività investigative condotte sui mandamenti di Tommaso Natale – San Lorenzo e di Porta Nuova, anche se la gestione, al pari degli stupefacenti, vede coinvolti i più importanti mandamenti cittadini. Nel contesto territoriale di Carini, alcuni imprenditori, abili inventori di un software per il gioco on-line, dopo aver costituito alcuni siti a Malta avrebbero iniziato a commercializzarli avvicinandosi ai mafiosi, tra cui il presunto vertice della famiglia di Carini- abbinandoli a un sito perfettamente legale che funge da schermo. Dopo l’arresto di quest’ultimo si sarebbe creata una simbiosi tra l’imprenditore e il presunto reggente del mandamento mafioso di Tommaso Natale, che avrebbe avuto un ruolo determinante nelle dinamiche di commercializzazione del sito nonché nella risoluzione di varie controversie sorte.

Pizzo a tappeto e imposizione delle forniture di pesce

L’organizzazione mafiosa ha la necessità di effettuare un costante controllo del territorio, garantito anche per mezzo delle estorsioni. Le modalità predilette continuano a essere la richiesta del cosiddetto pizzo e l’imposizione ai commercianti di prodotti da fornitori contigui a Cosa nostra e a prezzi imposti. Tra i numerosi casi riscontrati, si cita a esempio quello che sarebbe avvenuto nel territorio della famiglia mafiosa di Corso Calatafimi dove uno degli indagati nel commentare le resistenze manifestate dal titolare di un esercizio commerciale alla richiesta estorsiva avanzatagli, si sarebbe mostrato adirato per la mancanza di rispetto e sarebbe stato intenzionato a risolvere la vicenda anche facendo uso della forza.

Anche l’attività di spaccio di stupefacenti, qualora le sostanze non siano approvvigionate da canali intermediati da Cosa nostra, sono oggetto di pizzo. Nel mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo, ad aprile 2024 emergeva che l’organizzazione mafiosa aveva avuto delle difficoltà nell’approvvigionamento dello stupefacente che fino a quel momento aveva immesso nel circuito delle piazze di spaccio dello Zen. Pertanto veniva adottata una nuova strategia finalizzata a garantire comunque dei proventi da quell’attività illecita: i titolari delle piazze di spaccio venivano lasciati liberi di procurarsi lo stupefacente attraverso loro canali personali e non più costretti a rifornirsi da Cosa nostra a patto che pagassero una tassa proporzionata alla tipologia dello stupefacente spacciato. Veniva altresì deciso che le estorsioni dovevano essere estese a tappeto anche verso tutti i commercianti dello Zen e di questo se ne sarebbero occupati alcuni personaggi ai quali sarebbe stata data carta bianca su quali commercianti aggredire al fine di rimpinguare la cassa mafiosa, senza risparmiare gli ambulanti del mercato rionale del giovedì. Uno degli indagati avrebbe inoltre chiarito i termini delle richieste estorsive, ovvero che se qualcuno avesse reagito, così come in passato, avrebbero anche usato la violenza nei suoi confronti, accettando il rischio di poter essere arrestati. Sempre nell’ambito dello stesso mandamento è emersa l’imposizione del pesce ai ristoranti delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello. In particolare nel febbraio 2023, la compagine mafiosa guidata di Tommaso Natale-San Lorenzo avrebbe deciso di riprendere la distribuzione dei mitili e degli altri frutti di mare a tutti i ristoratori delle citate aree, imponendone l’acquisto con la forza derivante dall’appartenenza a Cosa nostra ed estromettendo la concorrenza, previa individuazione di un noto imprenditore del settore, deputato a fornire la materia prima. Nel complesso sono stati accertati circa 50 episodi di estorsione tra consumate e tentate. In pochissimi casi le vittime hanno denunciato la richiesta di pizzo, un dato certamente minimo rispetto al totale che trova spiegazione in un contesto di forte presenza mafiosa.

Armi e informatori

È emerso a più riprese che l’organizzazione mafiosa può contare su una buona disponibilità di armi da fuoco. La presenza di armi viene registrata su ogni mandamento anche se Cosa nostra negli ultimi anni ha cercato di non rendersi protagonista di eventi delittuosi eclatanti, preferendo mantenere un profilo basso in modo da evitare di attirare le attenzioni delle forze di polizia.

L’associazione gode anche di una fitta rete di informatori. Il 7 novembre 2023 viene arrestato un commesso giudiziario della Procura di Palermo, per il delitto di favoreggiamento poiché, essendo addetto al materiale traporto dei fascicoli, era solito consultare, fotografare e poi diffondere il contenuto dei procedimenti coperti dal segreto, compresi i decreti di intercettazione ancora attivi. Dalle indagini è emerso che il predetto impiegato non era l’unica fonte informativa di Cosa nostra: lo stesso giorno del predetto arresto, un indagato della compagine bagherese sarebbe stato informato che un esponente di Corso dei Mille aveva appreso di tre imminenti operazioni di polizia previste per fine anno. A seguito di tale notizia, gli affiliati si adoperavano per fare sparire alcune cose, mentre taluni sodali di Brancaccio (quelli più pesanti) si buttavano latitanti. L’esistenza di altre fonti di informazione è emersa inoltre nel contesto della famiglia di Partanna Mondello, con riguardo a un avvocato il quale avrebbe messo in guardia un esponente dell’organizzazione mafiosa avvisandolo di essere indagato e di avere una microspia in macchina.


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