Concetta Salici avrebbe prestato somme di denaro a impiegati, casalinghe e operai. Somme non esose ma con tassi d'interesse del 30 per cento. Poche le vittime che hanno ammesso tutto davanti ai magistrati. «Negare non aiuta il nostro lavoro», spiega il procuratore Carmelo Zuccaro. Guarda foto e video
Black Tie, madre di un boss gestiva giro usura «Una zarina verso cui c’era tanta venerazione»
Una donna dai metodi spiccioli che si faceva venerare quasi come una zarina. È il ritratto che tracciano gli investigatori quando parlano di Concetta Salici, arrestata la notte scorsa perché accusata di gestire un giro di prestiti a usura. La donna, 62 anni, avrebbe agito insieme al fratello Giovanni e al figlio Gaetano Bellia. Quest’ultimo arrestato nel novembre scorso durante l’operazione Revenge 5 contro il clan mafioso dei Cappello–Bonaccorsi. Proprio dalla cosca sarebbero arrivati i soldi da destinare ai prestiti. Il tramite sarebbe stato Gaetano Lo Giudice, padre del più noto Sebastiano, reggente per anni ma ormai in carcere condannato a diversi ergastoli. «Avevano affidato notevoli somme di denaro da investire», spiega il dirigente della Squadra mobile Antonio Salvago. Tra gli indagati è finita anche Emanuela Valentina Aquilino – convivente di Bellia – che è stata ristretta agli arresti domiciliari.
Non solo carnefici ma anche vittime. Gli inquirenti, coordinati dalla procura di Catania guidata da Carmelo Zuccaro, hanno identificato nove persone rimaste coinvolte nel giro d’usura gestito da Salici. «Operai, impiegati e casalinghe. Gente che aveva difficoltà ad arrivare alla fine del mese e si faceva dare piccole somme», spiega il magistrato Fabio Regolo. Non tutti però hanno denunciato, finendo così iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di favoreggiamento. «Soltanto tre persone hanno raccontato i fatti in maniera veritiera – precisa con toni sconsolati il procuratore Zuccaro – È un dato che registro con disappunto e spero che queste persone riescano a trovare la forza di ammettere quello che hanno subito. Negare l’evidenza dei fatti non aiuta». In una città dove, secondo la procura, tanta gente decide di rivolgersi agli usurai. Dal canto suo Concetta Salici non voleva sentire ragioni: quando non si rispettavano le scadenze invitava il fratello Giovanni a darsi una mossa: «Ieri quello mi ha fatto fare tre viaggi e soldi non me ne ha dati lo stesso», si lamentava al telefono con il parente, che prontamente replicava: «Ora alle undici ci andiamo, adesso chiudi». La zarina era pronta a tutto, anche a recarsi personalmente dalle vittime: «Ho tutte cose scritte, i soldi mi devi mandare».
Sulle somme che venivano concesse dagli strozzini sarebbe stati applicati interessi del 30 per cento. Quando non si potevano tornare in contanti c’erano modalità alternative come assegni o preziosi. Le indagini, iniziate ufficialmente nel 2015 al termine dell’operazione antimafia Revenge 5, muovono i primi passi addirittura nel 2013. Quando le forze dell’ordine trovano a casa di Concetta Salice numerosi assegni post datati. La circostanza faceva emergere un presunto coinvolgimento in un giro di usura ma all’epoca non apparvero altri indizi significativi.