Beni confiscati, tra le leggi e i bisogni reali Il prefetto Caruso: «Finora solo chiacchiere»

«Vi ringrazio per l’applauso che sicuramente non si ripeterà alla fine del mio discorso, perché quello che dirò non sarà piacevole come le parole di chi mi ha preceduto». Il prefetto Giuseppe Caruso, direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, comincia il suo intervento all’incontro sui beni sottratti alla mafia, organizzato ieri a Misterbianco dal Partito democratico locale e dai Giovani democratici, spiazzando il pubblico, che – nonostante il maltempo – riempie la sala dell’assessorato alla Cultura del piccolo Comune nella provincia di Catania. Prima di lui, Maria Luisa Barrera del coordinamento di Libera ha parlato del regolamento sull’iter di assegnazione dei beni, proposto dall’associazione e in fase di approvazione nei comuni di Paternò e Catania, e Pina Palella della Cgil ha presentato la legge sulle aziende confiscate che sarà discussa in Parlamento mercoledì. Ospite dell’iniziativa anche il sottosegretario alla Giustizia e parlamentare Giuseppe Berretta, che prima di passare la parola a Caruso, ha dichiarato che «la politica può fare molto sull’argomento e deve farlo in tempi celeri». Per il prefetto, però, «quello che si è fatto finora sono chiacchiere».

«La verità è che la lotta alla mafia non si fa solo con gli arresti – dice l’ex questore di Palermo, che nel 2006 ha catturato il boss Bernardo Provenzano – A chiudere davvero il cerchio è l’aggressione ai beni patrimoniali. Per il mafioso – aggiunge – l’arresto è una medaglia di cui si vanta, ciò che teme di più è la perdita del patrimonio, come aveva capito Pio La Torre. L’agenzia nazionale è nata per rendere concreta la sua intuizione. È un’idea brillante, ma ci sono delle criticità e le proposte fatte per risolverle non sono state accettate». Tra le sue richieste: aumentare l’organico e le sedi, modificare la legge per creare un fondo di rotazione e meccanismi di premialità fiscale, dare all’agenzia la possibilità di vendere i beni immobili ai privati e di far acquisire le aziende confiscate dallo Stato.

Ad oggi, i dipendenti dell’Anbsc sono 30. «Io l’ho fatto rilevare che con questi numeri potevo giocare solo a calcetto con le riserve, ma non glien’è fregato nulla», dichiara il prefetto, senza nascondere la rabbia e l’amarezza. «Mi hanno detto che potevo prendere altre 70 risorse, ma autoalimentandomi. Cioè mettendo a reddito i beni. Se lo faccio, però, ai Comuni cosa do?», si chiede. L’85 per cento dei beni confiscati, infatti, si presentano con criticità e l’agenzia deve risolverle prima di destinarli. Ma capita anche che i Comuni – del centro nord, specifica il prefetto – rifiutino i beni perché non hanno poche migliaia di euro per metterli in funzione.

Caruso non ama le chiacchiere e preferisce fare esempi concreti. Anche sulle aziende parla chiaro. In sala ad ascoltarlo, muniti di striscioni, ci sono anche i lavoratori della La.Ra Srl, che fino a poco tempo fa era tra le poche aziende confiscate con bilanci in attivo. Adesso i suoi  50 addetti chiedono quale sarà il loro futuro, la stessa domanda che si fanno ancora gli ultimi due dipendenti della Riela Trasporti. «L’azienda confiscata o è una lavatrice e quindi andrebbe liquidata subito o, se c’è qualcosa che può riattivarla, si deve dare la possibilità all’amministratore giudiziario – mia delizia e croce – di poterlo fare», afferma. «Ho scoperto che per alcune aziende la liquidazione era stabilita da anni senza che fosse mai portata a termine, perché così l’amministratore giudiziario poteva continuare a guadagnare», racconta il direttore. «Se è da liquidare si deve farlo velocemente, garantendo ai lavoratori gli ammortizzatori sociali, che invece secondo la legge Fornero agli impiegati delle aziende confiscate non spetteranno più dal 2016», spiega. Se l’azienda funzione si dovrebbe agevolarla, ma al momento non è semplice: «Quando per i lavori della sede di Palermo ho impiegato dipendenti di ditte confiscate, il collegio dei revisori ha sollevato obiezioni, perché la legge prevede che si faccia una gara, e io devo rispondere di danno erariale. Queste cose ai lavoratori bisogna dirle», afferma.

All’agenzia, secondo il prefetto si danno tutte le colpe, mentre dovrebbe essere responsabile di destinare i beni, «poi sono gli enti che si devono inventare qualcosa», dice. All’amministrazione di Motta Sant’Anastasia, secondo Comune con più beni confiscati in Italia, per esempio, suggerisce di «mettere a reddito i box confiscati a Michele Aiello, purché poi gli introiti vengano utilizzati per fini sociali, e questo sarà mio compito verificarlo», aggiunge.

Per Caruso si deve «cambiare la legge e i suggerimenti che bisogna dare al legislatore sono quelli che risolvono il problema alla radice». «Libera fa progetti splendidi, ma è come arredare con oggetti di lusso uno stabile di cui ancora si devono completare e rinforzare le fondamenta», dice. «Prima di arredare la casa, mi devono aiutare a costruirla», spiega, riferendosi non solo al regolamento proposto dall’associazione di Don Ciotti, ma anche alla legge sulle aziende promossa dal sindacato. «Sono belle proposte, ma perché non mi consultavate? – chiede alla Cgil – Se la vostra legge passa con l’agenzia così com’è, non andremo da nessuna parte».

A chiudere l’incontro, il sottosegretario Berretta, che va fuori tema con il sovraffollamento delle carceri e le dimissioni di Antonio Mastrapasqua dalla guida dell’Inps. Il parlamentare, però, è ottimista: «Non partiamo da zero – dice – Diciotto anni fa è stata approvata la legge che oggi ha portato a risultati concreti, come i prodotti di Libera Terra. Certo – conclude – dobbiamo fare di più, come dare all’Agenzia un organico adeguato».


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