Da una parte, beni confiscati alle mafie che non hanno ancora trovato una destinazione definitiva per essere restituiti alla collettività e, dall’altra, la necessità di trovare degli spazi da dedicare alle donne vittime di violenza e ai loro bambini. A provare a risolvere entrambe le questioni è stato un bando da 250 milioni di euro di fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Di questi, alla Sicilia sono andati più di 73 milioni di euro. Per i progetti che sono stati approvati e che hanno ricevuto il finanziamento previsto dalla Missione 5 del Pnrr che, al capitolo Inclusione e coesione, ha una parte dedicata proprio agli Interventi speciali per la coesione territoriale di cui fanno parte anche i beni immobili confiscati alla criminalità organizzata da valorizzare e restituire alla collettività nelle otto regioni del Mezzogiorno (oltre alla Sicilia, anche Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sardegna). Dall’Isola è arrivato il numero più alto di domande (174) e 61 sono i progetti che hanno ricevuto il finanziamento dal Pnrr.
A ottenere di più è stata la provincia di Palermo dove per 21 progetti sono arrivati oltre 36 milioni di euro; al secondo posto Caltanissetta dove i progetti finanziati sono stati sei per un totale che supera i 10 milioni e 892mila euro; sul terzo gradino del podio c’è il territorio della provincia di Catania: 16 progetti da realizzare con fondi che sfiorano i 9 milioni di euro. Per i quattro progetti in provincia di Siracusa sono stati destinati fondi pari a quasi 7 milioni di euro; poco meno (6 milioni e 652mila euro) sono andati ai sette progetti del Trapanese; in provincia di Messina cinque progetti per più di 3 milioni e 207mila euro; un solo progetto approvato in provincia di Ragusa (per oltre 2 milioni e 381mila euro) e uno in provincia di Agrigento (da 999.380 euro). Nessun progetto è stato approvato, invece, in provincia di Enna.
Tra i progetti a cui sono andati più fondi ci sono quelli che prevedono di trasformare i beni confiscati alle mafie, spesso lasciati in stato di degrado e di abbandono – quando non occupati e vandalizzati – per anni dopo avere rappresentato il simbolo del potere territoriale della criminalità organizzata, in centri di accoglienza o case rifugio per donne vittime di violenze e di abusi e per i loro figli. Per questi, infatti, il bando prevedeva una premialità speciale. Da Campobello di Mazara – ultimamente noto per essere stato il paese del Trapanese dove Matteo Messina Denaro ha trascorso almeno l’ultimo periodo dei suoi trent’anni di latitanza – a San Gregorio di Catania. Qui le ville dove il boss Nitto Santapaola viveva insieme alla famiglia e dove venne uccisa la moglie Carmela Minniti diventeranno un centro integrato per autismo e antiviolenza, con percorsi di legalità pensati per l’empowerment.
Ma non solo. Altri immobili verranno destinati a luoghi di aggregazione giovanile, di possibilità lavorative, centri sportivi (come quello a Monreale, nel Palermitano, a cui sono stati destinati due milioni e mezzo per la realizzazione di una piscina olimpionica). Anche per alcuni terreni tolti alla mafie, come per esempio quelli nella periferia del capoluogo etneo, sono stati progettati dei riusi che prevedono la realizzazione di aree verdi attrezzate pensate soprattutto per i più piccoli. Oltre a finalità sociali, sono state tenute in conto pure quelle istituzionali: alcuni beni confiscati in Sicilia diventeranno sedi di protezione civile o uffici comunali (uno a da quasi 2 milioni di euro ad Altavilla Milicia, nel Palermitano, da intitolare alla memoria di Rita Atria, la collaboratrice di giustizia vittima di mafia che si era tolta la vita dopo la strage di via d’Amelio dove era stato ucciso Paolo Borsellino).
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