Giovedì scorso il prof Giuseppe Barone è stato eletto al primo turno preside della Facoltà di Scienze Politiche puntando tutto sulla qualità. Il docente ordinario di Storia Contemporanea ha ottenuto 74 preferenze, contro i 46 voti della professoressa Francesca Biondi. Step1 lo ha intervistato
Barone sì, ma solo di nome
“Io non ho mai fatto il preside quindi devo imparare. Mi avvicino a questo nuovo incarico con l’umiltà ma anche con la determinazione di chi crede che l’università possa offrire un prodotto di qualità”. Cominciamo dalla fine. Dalla frase con cui il nuovo preside della Facoltà di Scienze Politiche ha chiuso questa lunga intervista. Al centro del colloquio l’esperienza del decentramento di Modica, la qualità dell’offerta formativa, la necessità di un nuovo polo universitario siciliano e la collaborazione con gli studenti definiti ‘studiosi e quindi colleghi’.
Prof. Barone, si aspettava un’elezione al primo turno?
Avevo previsto questa larga maggioranza, perché è il risultato di un dibattito che si era svolto non solo nei due appuntamenti ufficiali organizzati dal decano, ma anche del dialogo con i colleghi che era stato avviato in altri incontri pubblici fatti su mia iniziativa personale senza l’altra candidata. L’idea di costruire un programma che fosse il risultato di una larga e reale consultazione con tutti, con la componente studentesca, il personale tecnico amministrativo e i docenti, mi dava la sensazione consapevole che ci sarebbe stato un largo consenso.
Qual è secondo lei il problema più importante da risolvere nella Facoltà di Scienze Politiche?
La mia facoltà non ha problemi, ma ha un progetto comune da realizzare con tutte le facoltà. Noi ci troviamo di fronte a un quadro nazionale che vede una forte riduzione dei trasferimenti dello stato alle università. Dobbiamo però riuscire a vincere la sfida della competitività. Nel mio programma ho puntato tutto sul tema della ‘qualità’. Significa che dovremo rimboccarci le maniche, migliorare le performances: diminuire il numero degli abbandoni e dei ripetenti, soprattutto tra primo e secondo anno, ridurre il numero dei fuori corso. Dobbiamo riuscire a trasmettere competenze reali per inserire i nostri giovani nel mercato del lavoro.
A proposito di qualità. Scienze Politiche è l’unica facoltà dell’ateneo catanese a puntare sui requisiti minimi di qualità e non di quantità. Ciò significa garantire per ogni corso diciotto, anziché dodici professori ordinari. Come pensate di riuscire a centrare quest’obiettivo?
Queste scelte sono frutto ovviamente di chi mi ha preceduto (Pippo Vecchio, ndr) che ha diretto in maniera collegiale la facoltà. Avendo ridotto l’offerta formativa e razionalizzato i corsi di laurea, ora sarà possibile una liberazione di energie e risorse umane e materiali che finora erano impegnate nella didattica frontale in un totale di quindici corsi di laurea. Avendo quindi un numero di docenti sufficiente pensiamo, con un sistema di rotazione, di utilizzarli in maniera volontaria per attività di tutoraggio, sia tra primo e secondo anno sia nelle lauree specialistiche, al fine di fornire un aiuto personalizzato sia nella fase d’ingresso sia in quella d’uscita agli studenti.
Quali sono i corsi di laurea che verranno avviati per il prossimo anno accademico?
Saranno tre per la laurea triennale: un corso monoclasse in Scienze dell’Amministrazione, attualmente il più frequentato, e due corsi interclasse che mettano insieme due classi di laurea diverse: uno comprende Sociologia e Servizio Sociale, l’altro Relazioni Internazionali/Scienza Politica e Storia Contemporanea. Questi tre corsi di laurea poi daranno vita a sei o sette specialistiche. Quest’ultimo punto è ancora da decidere.
Un grande problema delle facoltà umanistiche dell’ateneo catanese è l’esodo degli studenti dopo la triennale. Come si fa ad arginarlo?
La riforma del 3+2 è risultata fallimentare, perché non esistono sbocchi professionali al termine del triennio. Questo anche per colpa dei governi che avrebbero dovuto fare una serie di decreti attuativi per professionalizzare queste lauree. In realtà, l’università si è indirizzata verso la quinquennalizzazione dei corsi.
Tuttavia questo processo sembra trovare più difficoltà nelle facoltà umanistiche.
Rispondo con quest’esempio: il rapporto di Almalaurea, pubblicato su L’Espresso di tre settimane fa, poneva la facoltà di Scienze Politiche di Catania al secondo posto dopo la statale di Milano per quanto riguarda l’ingresso nel mondo del lavoro dei suoi laureati. Dati 2007. Uno dei motivi di questa competitività nazionale sta nel fatto che siamo riusciti a creare un sistema di stage e tirocini seri, fatti nel mondo delle imprese. Questo rappresenta uno degli strumenti che permette l’inserimento nel mondo del lavoro. E quando parlo di stage dico anche i master professionalizzanti. Io stesso ho diretto per due anni un master di archivistica e la metà dei partecipanti al master alla fine del corso hanno avuto contratti a tempo determinato con le società e le imprese (Telecom, l’Assindustria di Catania, l’Asl del Vittorio Emanuele, il giornale La Sicilia) presso cui avevano fatto il proget-work.
Questo non rafforza l’idea che è più utile un master piuttosto che una laurea specialistica, la quale è spesso un doppione della triennale?
Io penso che la soluzione ottimale sia quella della laurea quinquennale più master. La triennale, seppur seguita da un master, non dà le stesse possibilità. Ho diretto un master di primo livello nel corso di laurea di Modica sulla Gestione del rischio ambientale. Su quindici ragazzi soltanto tre hanno ottenuto un contratto a tempo determinato. Mentre nel caso della laurea quinquennale unita al master, due terzi degli studenti hanno avuto in seguito un contratto.
Ha citato il corso di laurea di Modica. È d’accordo con le scelte recentemente compiute dal Senato Accademico a proposito delle sedi decentrate?
Ho fondato e diretto dal 2001 il corso di laurea decentrato di Modica in Scienze dell’Amministrazione. È stata un’esperienza straordinaria e non un esamificio. Siamo arrivati ad avere 1200 studenti iscritti. Detto questo, è ovvio e oggettivo che bisogna ridimensionare, perché un ateneo come quello di Catania non può subire da un lato i tagli della finanziaria e dall’altro avere gli enti locali che non pagano. Il rettore non può mettere a repentaglio l’intero Ateneo. Tuttavia rimane il problema di fondo: il rapporto col territorio va recuperato. Va bene chiudere i corsi fantasma, ma come si fa a chiudere corsi con migliaia di studenti?
Esiste quindi una soluzione alternativa a quella del Senato Accademico?
Il problema del decentramento è legato al fatto che la Sicilia è l’unica regione d’Italia ad avere soltanto tre università pubbliche. La Campania, la Puglia e il Lazio ne hanno sette, la Calabria cinque. La verità è che ci vorrebbe il quarto polo pubblico e Catania con i suoi settantamila studenti non ha un’adeguata ricettività. Pensiamo che l’anno prossimo arriveranno a Catania seimila studenti in più. Dove sono le strutture ricettive? E i servizi? Non ci può essere polemica con il rettore, perché lui è un amministratore. Ma c’è un problema politico grande come una casa. Noi abbiamo una popolazione studentesca in Sicilia che supera i 200 mila. Di questi un terzo emigra. Sono gli stessi numeri di Campania e Puglia. Servirebbe un quarto polo, magari in val di Noto che è molto dinamica. L’idea invece di chiudere tutti i decentramenti e di concentrarli su Catania in tempi così rapidi rischia di avere un’onda di ritorno che potrebbe finire per peggiorare la qualità che noi, invece, inseguiamo.
A Modica gli studenti chiedono almeno di avere il tutoraggio. Lei come risponde?
Ritengo queste richieste non solo legittime ma giustificate e ragionevoli. Non entro nel merito del contenzioso tra Comune di Modica e Università. C’è una proposta di transazione fatta dal Comune che in questo momento l’ateneo non intende accettare. Però l’ateneo di Catania ha sempre riconosciuto il diritto allo studio, nel senso di poter completare il ciclo degli studi laddove è cominciato. Per cui, dato che Modica ha l’ultima annualità del corso triennale, credo che la richiesta di un terzo anno da fare per consentire lezioni ed esami sia giusta. E mi risulta che da parte del rettore ci sia stata un’apertura in questo senso.
Tra le novità che verranno introdotte, può dircene una immediatamente percepibile anche dagli studenti?
Per quanto riguarda il miglioramento dei servizi, d’accordo col preside uscente, stiamo preparando nel nuovo polo didattico di Via Gravina un ampio locale destinato ai nove rappresentanti degli studenti con postazione computer e collegamento internet. Mi sembra il giusto riconoscimento del diritto di rappresentanza. Gli studenti poi possono contare sulla totale disponibilità degli spazi comuni della Facoltà per svolgere in maniera autonoma le attività culturali e ricreative che non abbiano finalità politiche.
Quando sarà pronto il nuovo polo di via Gravina?
Contiamo di aprirlo completo di arredamento a settembre. Aggiungo che, pur nel quadro delle ristrettezze economiche attuali, ho già detto che sarò disponibile a finanziare o cofinanziare iniziative che abbiano una valenza culturale e che siano autonomamente gestite.
Il preside Barone conclude la nostra chiacchierata così: “Gli studenti sono anche i nostri colleghi più giovani, perché l’università è una comunità di studiosi. Con questo spirito riuscire a realizzare insieme un progetto che migliori la qualità e dia ai ragazzi una migliore ‘occupabilità’ sul piano del mercato del lavoro sarebbe la mission più straordinaria che un preside si possa aspettare”.