Da alcuni mesi, hanno cominciato a rimboccarsi le maniche per fare di un quartiere difficile una vera casa. Ragazzi e ragazze, tra i 14 e i 20 anni, mossi dal desiderio di valorizzare un quartiere troppo spesso associato ad eventi negativi, si riuniscono ogni sabato fra partite di calcio e workshop, pulizia e tante idee
BaddarHome, giovanissimi per rinascita Ballarò «Per gli adolescenti mancano spazi adeguati»
Bambini che riempiono di terra vecchie scarpe e piantano semi nelle chitarre, ragazzi asiatici e francesi, africani e italiani che parlano di piante fra acrobazie linguistiche, tomatoes e vuciare, screaming, green, amazing, happiness, felicità. Da alcuni mesi, il sabato, un gruppo di ragazzi che a Ballarò e all’Albergheria ci vivono, hanno cominciato a rimboccarsi le maniche per fare di un quartiere difficile una vera casa: così è nato BaddarHome. Giovani tra i 14 e i 20 anni, uniti dall’impegno per il quartiere, mossi dalla volontà di fare la propria parte per valorizzare un luogo troppo spesso associato ad eventi negativi.
«A Ballarò ci sono luoghi per gli adulti e luoghi per i bambini, come il Santa Chiara. Mancano invece degli spazi per la nostra fascia d’età», racconta Africa, che frequenta l’ultimo anno al liceo Vittorio Emanuele, ed è palermitana a dispetto del nome. É proprio questo vuoto che vuole colmare la comunità nata a novembre con il sostegno di varie associazioni cittadine che si occupano di riqualificazione del territorio. L’anima di BaddarHome, però, sono loro, i ragazzi. «Ogni sabato svolgiamo un’attività nel campo di bocce – continua -. Oggi abbiamo fatto un workshop di giardinaggio urbano, sono venuti anche dei ragazzi stranieri. Prima abbiamo pulito: pensiamo che per la gente sia più facile continuare a sporcare un posto brutto che uno pulito. Non è facile anche perché questo è uno dei punti di raccolta per i rifiuti ingombranti della Rap; quella macchina lì, fino a qualche giorno fa non c’era».
Questa piazza, in mezzo al quartiere dell’Albergheria, nessuno sa bene come chiamarla. La toponomastica, ignorandone la conformazione, la registra come via Flavio Ando. La gente la conosce come il campo di bocce, ma il perché è anche questo un mistero. Bocce, di sicuro, non se ne vedono. Ci sono invece due porte da calcio senza rete, molti rifiuti, la carcassa di un’auto, un’antica torre d’acqua e, il fine settimana, un discutibile mercato di oggetti usati ormai ben oltre la seconda mano. Molti di loro sono palermitani, altri vengono da vari Paesi dell’Africa, dalla Costa d’Avorio, dal Senegal, dal Gambia. Quasi tutti frequentano le scuole superiori dei dintorni, qualcuno già lavora.
E poi si gioca a calcio, che è il modo universalmente più efficace per abbattere le barriere e coinvolgere i bambini del quartiere. Nelle scorse settimane, l’esperienza BaddarHome ha sfiorato le pagine dei quotidiani nazionali perché proprio a una delle loro partite aveva preso parte Yusupha Susso, il giovane gambiano di 21 anni colpito da un proiettile in via Fiume, poco prima della sparatoria. Per ora, le energie di BaddarHome sono tutte concentrate sul campo di bocce. Fare un murales, rivalutare la torre d’acqua attorno a cui si accumulano i rifiuti, mettere dei cestini, piantare dei fiori. «Abbiamo chiesto ai bambini della piazza cosa volevano – prosegue -. Ci hanno risposto: le reti delle porte di calcio. É una delle prime cose che vogliamo provvedere a fare».
Ma ci sono altri progetti, come fare del campo una delle tappe del Mediterraneo Antirazzista, la manifestazione sportiva che attraversa i quartieri popolari di varie città d’Italia per promuovere l’integrazione socio-culturale grazie allo sport. E poi ci sono altri spazi da rivalutare, specialmente nella zona di via Porta di Castro. Alcuni sono locali confiscati alla mafia: «Sarebbe bello farci una sede di BaddarHome. Un posto dove studiare, e magari fare una radio. Potrebbe essere un modo per raggiungere gli altri abitanti del quartiere».
Già, perché il rapporto con la gente di qui è uno degli aspetti più problematici per chi vuole cambiare le cose, tra la curiosità di alcuni e l’ostilità di chi vuole che tutto resti com’è. «Poco fa un bambino mi ha chiesto: ma oggi non giochiamo a calcio? – aggiunge Africa -. É già qualcosa. Sai come si dice qui? Ogni ficateddu di musca è sustanza. Vogliamo fare capire alla gente che non vogliamo essere una presenza invasiva, che vogliamo avere un rapporto di dialogo». Con i mercatari, i rivenditori del mercato, sembra più difficile. Sono le cinque, è ora di montare i banchi. Piazzano la merce dentro una porta: non si discute, per oggi, niente partita. Un bambino guarda deluso, un mercatario agguanta la palla e lo stupisce con cinque, dieci, quindici palleggi perfetti.