Asili nido: rette più alte, iscrizioni in calo e meno posti CataniaBeneComune: «Strategia comunale per chiuderli?»

Scambiare la causa con l’effetto, per giustificare una futura dismissione del servizio. L’accusa arriva da Catania Bene Comune ed è indirizzata all’amministrazione comunale guidata da Enzo Bianco che, nonostante l’avvicendamento tra Fiorentino Trojano e Angelo Villari all’assessorato al Welfare, continuerebbe su una strada ben lontana da quella descritta nei proclami di quest’ultimo anno. Prosegue da qui la polemica sulla nuova riforma degli asili nido voluta dalla giunta etnea, riforma che però – stando al capitolato d’appalto pubblicato il 9 dicembre scorso – non farebbe altro che rinnegare le decisioni prese un anno fa. «Non siamo più disponibili ad accettare che servizi essenziali come quello degli asili nido vengano derubricati in scontro politico – dichiara Matteo Iannitti –. L’amministrazione continua a sviare la questione concentrandosi su presunte strumentalizzazione da parte nostra, mentre l’unica cosa certa è che si continuano a snocciolare cifre senza prendere in considerazione ciò che ufficialmente è stato approvato appena undici mesi fa».

Il riferimento va alla disputa sul numero di posti che dovrebbe caratterizzare il servizio a partire dal 2015: il nuovo bando, infatti, prevede un tetto massimo di 360 bambini. Praticamente la fotografia della situazione attuale: «Al momento – prosegue il portavoce di Catania Bene Comune – gli asili comunali ospitano 365 bambini, ma pensare che sia questo il dato a cui riferirsi per calibrare l’offerta è fuorviante. La mancanza di bambini nelle strutture è infatti soltanto una naturale conseguenza dell’innalzamento spropositato delle rette registrato nel 2014». Secondo il movimento politico Catania bene comune, la riforma del servizio firmata dall’allora assessore Trojano ha previsto un aumento del carico economico per le famiglie tale da convincere i più a tenere i figli a casa: «Siamo passati dal 2013, quando le famiglie con meno seimila euro di reddito non pagavano nulla per il servizio di mezza giornata e solo 24 euro al mese per l’orario continuato, a una proposta in cui a famiglie disagiate viene chiesto di pagare 145 euro mensili – spiega Iannitti –. Immaginare che vi sarebbe stata una riduzione nel numero degli iscritti non era difficile».

Una prospettiva che, d’altro canto, era stata già anticipata un anno fa da Catania Bene Comune: «L’anno scorso abbiamo lanciato una provocazione – continua Iannitti –. Ci siamo chiesti se l’aumento delle rette non fosse solo un mondo per rendere più complicato l’accesso al servizio, così da giustificare una futura chiusura delle strutture. Be’, doveva essere una provocazione e invece ogni giorno che passa sembra essere una profezia». In ballo, però, non c’è solo la riduzione del servizio, ma anche un numero non indifferente di posti di lavoro. La diminuzione di iscrizioni, infatti, determinerà in maniera inevitabile anche un taglio al personale: «Il rapporto di un ausiliare ogni 13 iscritti parla chiaro – racconta Giusy Mavilla, rsu Confsal –. Siamo arrivati a questa situazione attraverso un percorso ben preciso, nel quale l’aumento delle rette ha inciso decisamente sulla scelta delle famiglie. Tagliare i servizi ai bambini è inaccettabile».

Sulla questione, intanto, hanno preso posizione le sigle sindacali rappresentative degli operatori dell’infanzia che, all’unanimità, hanno annunciato lo stato di agitazione: «Il neo assessore Villari – continua Mavilla – pare abbia detto di aver già incontrato i rappresentanti delle sigle sindacali e aver trovato dei punti d’accordo, ma non è così». In tal senso, una smentita ufficiale è arrivata in mattinata da parte della segreteria di Fesica–Confsal: «Purtroppo dobbiamo correggere l’assessore al Welfare Angelo Villari – dichiara il responsabile provinciale Antonio Santonocito –. Dalle sue dichiarazioni si evince che non conosce bene l’evoluzione della questione». Il riferimento va anche alle parole di Villari sul fatto che a oggi non risultano licenziamenti: «Ci meravigliamo che non sappia come stanno le cose – prosegue Santonocito – I licenziamenti non ci sono stati solo perché le lavoratrici stanno a casa a turno per un mese». «Chiediamo un incontro con l’amministrazione e l’immediata revoca del bando. I posti devono tornare 740, così come deciso dalla stessa giunta appena un anno fa», conclude Iannitti. In attesa che dall’amministrazione comunale arrivino risposte.


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