Nel 2019 i produttori avevano sversato in strada migliaia di litri. Ora la situazione è pure peggiore a causa dei rincari delle materie prime. Eppure, le soluzioni ci sarebbero. Il punto con il presidente dell'unione allevatori e della confederazione italiana agricoltori
La crisi del latte che è arrivato a costare meno dell’acqua «Gli allevatori, però, spendono più di quanto guadagnano»
«Il latte costa meno dell’acqua ma, per produrlo, gli allevatori spendono più di quello che guadagnano dalla vendita». Conti alla mano, a fare il punto sulla crisi del latte è stato Carmelo Galati Rando, il presidente dell’unione allevatori Sicilia che, questa settimana, hanno ripreso lo stato di agitazione. Una situazione che torna ad aggravarsi dopo le proteste eclatanti della fase della rivolta del latte del 2019, quando i produttori siciliani avevano sversato circa tremila litri di latte in strada perché veniva pagato troppo poco. Ed era più di quanto viene pagato adesso. «Il latte vaccino viene venduto agli intermediari tra i 35 e i 40 centesimi al litro a fronte di costi di produzione di 45 centesimi al litro», ha aggiunto Galati Rando intervenuto durante la puntata della trasmissione Direttora d’Aria su radio Fantastica.
Centesimi di differenza che mettono a rischio i 750 allevamenti bovini e i 1182 caprini dell’Isola. Le soluzioni, però, ci sarebbero. Se anche la politica, dal nazionale al locale, intervenisse per metterle in pratica. Nei giorni scorsi, si è concluso con un nulla di fatto il tavolo tecnico convocato al ministero delle Politiche agricole con l’obiettivo di alzare i prezzi del latte. «A non essere d’accordo all’aumento di cinque centesimi sono stati gli industriali e i rappresentanti della grande distribuzione», ha riferito il presidente della sezione della Sicilia orientale della Confederazione italiana agricoltori (Cia) Giuseppe Di Silvestro che, adesso, ha già chiesto – ma non ancora ottenuto – un incontro all’assessore regionale all’Agricoltura Toni Scilla.
«Spendiamo dieci euro per dare da mangiare a una vacca e ne riprendiamo nove», ha spiegato il presidente dell’unione allevatori siciliani. E non ci vuole certo la calcolatrice per capire che il bilancio è negativo. Un tasso di negatività che, in questo momento, è accentuato dall’aumento del costo delle materie prime, con rincari per i produttori che vanno dal 30 al 100 per cento. «Per produrre 25 litri di latte – ha precisato Galati Rando – ci vogliono dagli otto ai 14 chili di mangime e ogni chilo di mangime costa 40 centesimi». Anche in questo caso, i conti sono presto fatti e a rimetterci di tasca propria sono sempre gli allevatori di fronte al rincaro delle materie prime. Un po’ come è avvenuto per il grano per produrre il pane che, però, ha visto lievitare anche i costi per il consumatore finale.
In attesa dei tempi (non sempre celeri, per usare un eufemismo) della politica, una prima parte della soluzione alla crisi del latte potrebbe arrivare dagli stessi allevatori. Che non dovrebbero nemmeno inventarsi nulla: «Basta copiare quello che hanno fatto, per esempio, in Emilia Romagna dove i produttori – ha spiegato Galati Rando – si sono riuniti in cooperative e consorzi e soprattutto hanno puntato su prodotti (il parmigiano reggiano per primo) che, grazie ai marchi di qualità che, essendo riconosciuti dai consumatori, fungono da traino». Insomma, a mancare al latte siciliano per arrivare a essere venduto anche a prezzi che vanno dagli 80 centesimi a 1,20 euro al litro è un’identità, un brand.
Eppure, sulla carta, non gli mancherebbe nulla. «Nei nostri boschi, gli animali vengono allevati allo stato brado e non in allevamenti intensivi – ha sottolineato il presidente della Cia – Questo rende il nostro latte eccellente e anche i prodotti che ne derivano. E, invece, continuiamo a importarne tantissimo dai paesi dell’Est Europa, in particolare dalla Romania». Mentre alla politica spetterà il compito di occuparsi di una seria programmazione e di indirizzare investimenti anche in questo settore, gli allevatori non possono rimanere a guardare. «Io ho già lanciato la proposta – ha concluso Di Silvestro – di un’organizzazione comune di mercato anche per il settore zootecnico». Una soluzione che permetterebbe agli allevatori, riunioni in consorzi o cooperative, di provvedere all’autosostentamento dell’intera filiera: dalla produzione alla trasformazione con l’obiettivo di creare un marchio di identità del latte siciliano.