Mentre si dibatte sulle potenzialità dei tamponi di terza generazione, in Sicilia è stata aggiudicata una fornitura di seconda a una società genovese. Dalla stessa provincia proviene l'imprenditore che ha regalato alla Regione speciali test, finiti nel mirino del Cts
Covid, esperti in subbuglio per scelte sui tamponi rapidi «Spesi milioni per test superati e sperimentazioni dubbie»
Tra dubbie sperimentazioni e acquisti milionari di prodotti accusati di essere già superati. Il 2021 della Sicilia è iniziato nel segno delle polemiche in materia di Covid. I protagonisti, per una volta, o almeno per il momento, non sono politici ma medici ed esperti che, a vario titolo, da quasi un anno collaborano da vicino con Nello Musumeci e Ruggero Razza. Il nodo, talmente stretto da spingere qualcuno a non escludere clamorose uscite di scena in segno di protesta e difesa della propria professionalità, riguarda i tamponi rapidi. Strumenti di cui, negli ultimi mesi, si è sempre più parlato per l’utilizzo diffuso nelle attività di monitoraggio della diffusione del virus ma anche per i livelli di efficienza non sempre all’altezza delle aspettative. Che, quando si parla di una pandemia, equivalgono a evitare il più possibile che soggetti positivi possano andare in giro a spargere il virus.
Nei giorni in cui in tutta Italia si parla di tamponi rapidi di terza generazione, per il livello di attendibilità tale da essere paragonabili ai tamponi molecolari, la Regione Siciliana ha aggiudicato un appalto per la fornitura di un milione di test di seconda generazione. A fare sua la gara, che a fine novembre era stata annullata per una serie di errori nel bando, è stata la Medical Systems di Genova, che ha proposto un prezzo di 3,50 euro a tampone. Un’aggiudicazione non senza colpi di scena: la commissione nominata per valutare le offerte anche da un punto di vista tecnico, infatti, aveva assegnato il punteggio complessivo più alto alla Pikdare di Como, specificando che la piattaforma informatica utilizzata per espletare la procedura non segnalava la presenza di offerte anomale. Di avviso diverso, invece, è stato il responsabile unico del procedimento che ha chiesto alla Pikdare di fornire spiegazioni che giustificassero l’elevato punteggio tecnico in relazione a un ribasso di oltre il 50 per cento. A tale richiesta, l’impresa comasca ha risposto con ritardo e, per questo, è stata esclusa, portando così la Medical Systems ad aggiudicarsi l’appalto.
Stando a quanto appreso da MeridioNews, tuttavia, potrebbero essere stati commessi degli errori nella valutazione dell’anomalia tecnica. Il codice degli appalti, infatti, stabilisce che l’ipotesi deve essere valutata nel caso in cui un punteggio tecnico sia uguale o superiore ai quattro quinti del massimo raggiungibile che, in questo caso, era di 70 punti. In tal senso, la giurisprudenza amministrativa ha già chiarito che il dato da considerare è quello che precede la fase di riparimetrazione dei punteggi che, nel caso della Pikdare, significa 35,20 punti. Con la soglia dei quattro quinti fissata a 56. Ma indipendentemente dagli eventuali ricorsi che seguiranno, a far saltare dalla sedia più di uno tra gli esperti del comitato tecnico-scientifico è stata la scelta della Regione di indire una procedura di gara del valore di circa otto milioni di euro dando la possibilità alle imprese di proporre tamponi anche di prima e seconda generazione. I primi sono quelli più criticati, con una percentuale di errore ritenuta troppo elevata. «In Sicilia continuano a essere usati nonostante l’alto numero di falsi negativi. Sono scelte sbagliate, perché se applicate in situazioni come i drive-in e senza che vengano ripetuti nei giorni successivi rischiano di non intercettare i positivi», dichiara il professore Cristoforo Pomara.
«I tamponi presentati dalla azienda che si è aggiudicata la fornitura sono di seconda generazione e hanno un’attendibilità pari a quella dell’ultima circolare del ministero della Salute. E si basano sull’immunofluorescenza», assicura Francesca Di Gaudio, direttrice del Centro regionale per la qualità dei laboratori (Crq) e firmatrice del progetto che è stato oggetto della gara. «I tamponi rapidi di terza generazione si basano sulla metodica immunofluoscenza ma anche microfluidica, ed è quest’ultima caratteristica che fa sì che siano test che si avvicinano tantissimo ai risultati dei molecolari», commenta il professore Antonino Giarratano, presidente della Società italiana di anestesia e componente del comitato tecnico-specialistico. Intanto, l’ennesima conferma del fatto che ci sia più di qualcosa che non va con i tamponi rapidi finora usati è arrivata ieri da Belpasso, dove il Comune ha dato la notizia di 14 falsi positivi in uno screening fatto nei giorni scorsi: «Solo nove sono confermati, uno da approfondire», si legge in un post, in cui viene specificato che all’origine dell’errore (che non tiene conto di eventuali falsi negativi, ndr) potrebbero esserci state l’umidità e la bassa temperatura.
Orizzonti totalmente diversi sono stati invece intravisti alla Fiera del Mediterraneo, divenuto luogo simbolo degli screening a Palermo. Qui, nei giorni scorsi, ha avuto inizio la sperimentazione di tamponi cito-salivari, che promettono di dare garanzie ben più alte dei tamponi salivari su cui fin qui si è lavorato, grazie alla capacità di analizzare anche le cellule della lingua. «Ha dei presupposti teorici interessanti – ha detto il commissario Covid di Palermo Renato Costa – Con un’operazione di 31 minuti abbiamo una risposta che fino adesso sembra addirittura avere una specificità e una sensibilità superiore al tampone molecolare». Affermazioni che hanno creato più di un malumore all’interno del Cts, per l’azzardo nel paragone ma soprattutto perché la sperimentazione sarebbe stata avviata senza alcun consulto con il comitato di esperti né tantomeno seguendo un piano da cui potere trarre valutazioni significative sulla reale attendibilità di questo particolare test.
A offrire un campione di cinquecento tamponi all’assessorato alla Salute è stata la Stark, impresa con sede nel Principato di Monaco. Il titolare Riccardo Moffa è un italiano nativo di Chiavari, in provincia di Genova, di cui sul web ci sono poche informazioni. In un sito sullo scambio di ospitalità si descrive come «Ceo medical bioengineering», mentre in precedenza la definizione era «doctor maxillofacial». E in effetti, andando sul sito della Stark – azienda dal capitale sociale di 20mila euro, che fino all’estate 2013 si chiamava I-Plast – si trovano quasi esclusivamente informazioni su impianti dentali. Elementi questi che, uniti alla difficoltà di recuperare documentazione scientifica sul prodotto, hanno instillato più di qualche perplessità all’interno del comitato tecnico-scientifico che sarebbe stato totalmente tenuto all’oscuro della decisione e della modalità di utilizzo dei tamponi cito-salivari. «Somministrarli così a casaccio non ha alcun senso, è tempo perso», è il commento che arriva dagli esperti del comitato.
«Si è trattato di una normale sperimentazione, non capisco l’origine di questa polemica», replica Francesca Di Gaudio. La direttrice del Crq spiega a MeridioNews che l’uso dei tamponi cito-salivari non è stato fatto a scopo diagnostico. «A ogni utente a cui è stato proposto è stato effettuato anche un comune test rapido e il tutto è avvenuto chiaramente con l’espresso consenso degli utenti. Nessun rischio per nessuno, soltanto per noi la possibilità gratuita di provare qualcosa di nuovo», aggiunge Di Gaudio. Che poi conclude sottolineando che «non è stata la prima sperimentazione né sarà l’ultima». Sul punto il commissario Covid Renato Costa preferisce non commentare limitandosi a dire di non essere interessato ad alimentare «polemiche pretestuose». MeridioNews ha provato a contattare telefonicamente la Stark, per approfondire gli aspetti della collaborazione scientifica con l’Università di Napoli, ma dalla sede monegasca nessuno ha risposto.