È l'effetto domino del lockdown: se le aziende sono in crisi e la gente sta in casa, a pagarne le conseguenze è chi vive della pubblicità all'esterno. Dalle richieste inascoltate ai timori per la novità del contributo unico, parla l'associazione di categoria Aicap
Cartellonistica, tra ordini annullati e pagamenti anticipati «Politica e Stato ci usano da secoli, ma ora ci schifìano»
Cos’hanno in comune sexy shop, sale di toeletta per gli animali e aziende di cartellonistica pubblicitaria? Proprio niente. O meglio, se le prime due rientrano tra le categorie forse più curiose ad avere richiesto aiuti pubblici durante il lockdown, «il settore della pubblicità esterna è stato proprio dimenticato», sorride amaramente Angela Pirrone, avvocata messinese trapiantata in Lombardia e direttrice generale di Aicap, associazione aziende italiane cartelli e arredi pubblicitari. Non proprio un settore marginale, se si considera che dai classici cartelloni per strada alle immagini sui mezzi pubblici o sui palazzi si tratta di un comparto con quasi duemila imprese in Italia, più di 40mila persone occupate tra aziende e indotto, un fatturato annuo di oltre quattro miliardi di euro e 500 milioni di contribuzione. E se l’assenza di aiuti ha fatto di certo arrabbiare, lo sguardo preoccupato degli addetti ai lavori va al 2021 e oltre, quando sarò complicato non solo recuperare il lavoro perso, ma anche programmarne di nuovo a causa della riforma della riscossione dei tributi prevista per il settore.
«Nella nostra realtà per lavorare bisogna anticipare dei soldi: dagli oneri dovuti ai Comuni alle spese fisiche di grafica, carta e stampa – spiega Angelo Caruso, titolare dell’azienda di affissioni catanese Job Creation – Per noi la chiusura delle attività significa solo disdette dei contratti di pubblicità a fronte di spese che restano da pagare». Prima di arrivare alle lamentele, il settore ha provato la strada delle proposte. Almeno due, da marzo: l’inserimento, ormai sfumato perché scaduto a settembre, della categoria nel bonus Pubblicità (ossia il credito d’imposta previsto solo per gli investimenti sui radio, tv e giornali, di carta e online) e una rimodulazione di quanto dovuto ai Comuni. Nello specifico, due oneri da pagare anticipatamente a inizio anno: un‘imposta di base per l’attività più il canone di occupazione del suolo pubblico per i cartelloni. «Nei grandi centri, di solito la spesa viene divisa in quattro rate: la prima, a gennaio, era già stata pagata dalla maggior parte delle aziende ignare di quello che sarebbe successo dopo – racconta Pirrone – la seconda, a marzo, è arrivata in piena crisi».
Davanti alla richiesta di una rimodulazione delle tariffe – eliminando almeno la libera percentuale aggiunta dai Comuni, con un rincaro massimo del 50 per cento, alla base stabilita dallo Stato – il silenzio è stato assordante. «Su 50 Comuni siciliani in cui noi abbiamo impianti e a cui abbiamo scritto diverse email di posta certificata, solo uno ha risposto, proponendo di fare saltare una rata», spiega Caruso. Eccetto a Bari, «a livello nazionale – aggiunge Pirrone – la maggior parte degli enti locali ha contro-proposto uno slittamento delle scadenze, con la logica conseguenza di trovarsi ingolfati di pagamenti a fine 2021». Senza nemmeno poter programmare il lavoro e i suoi costi post-nuovo lockdown. Perché in mezzo ci si mette la riforma della riscossione, in teoria prevista per il 2020 ma rimandata al prossimo anno. «In pratica il nostro è un settore schifiàto dallo Stato, ma utilizzato da secoli dallo stesso», sottolinea Pirrone. Che qualcosa ne sa: è stato il nonno, Vito Carilli, a inventare il manifesto elettorale con il volto del candidato.
Da gennaio tutte le spettanze saranno ricomprese in un canone unico che accorpa imposta per la cartellonistica e occupazione di suolo pubblico. E che quindi riguarderà tanto le aziende pubblicitarie quanto i bar, ad esempio. Con problemi per entrambe le categorie: la prima, i cui impianti occupano certo meno spazio di tavoli e sedie; la seconda che non ha nulla a che vedere con l’imposta per la cartellonistica. «Sulla carta, la riforma vuole semplificare – spiega Pirrone – ma in pratica si trasforma un tributo in un prelievo patrimoniale addossando tutta la responsabilità ai Comuni». Comuni che, tra l’altro, potranno scegliere ognuno una tariffa diversa a proprio piacimento, non esistendo tetti massimi. «Come se non bastasse – aggiunge Pirrone – la notifica del canone unico sarà immediatamente esecutiva, con possibilità di pignoramenti anche nell’attesa di un eventuale ricorso al giudice di pace da parte dell’azienda». A occuparsene saranno sempre le società private iscritte all’albo del ministero che oggi si occupano già di tributi locali.
Infine, la beffa. Se il canone unico scatterà a gennaio 2021 con la base stabilita a livello nazionale, la parte decisa da ogni Comune arriverà insieme al bilancio previsionale dell’ente. Cioè, spesso, appena prima dell’estate o persino dopo in qualche Comune più ritardatario di altri. «Significa che per più di metà anno non sapremo quanto dovremo pagare né quanto dovremo conteggiare al cliente come oneri – fa notare Caruso – C’è un’alta probabilità di rimetterci». Un problema che potrebbe non toccare la politica: per la pubblicità elettorale – ma anche culturale, sportiva o di beneficenza – è infatti prevista la possibilità di riduzione del pagamento del canone unico. Qualunque sarà.