Tuccio D'Urso, fino a pochi giorni fa titolare del dipartimento all'Energia, ha annullato la revoca delle autorizzazioni della società trevigiana. Due anni fa aveva fatto discutere l'acquisto dei terreni da Giuseppe Pecorino. «L'azienda è estranea», assicura
Fassa torna a sperare nella cava comprata dal mafioso La firma del dirigente poco prima di andare in pensione
«All’assessorato non importa che l’iter per l’apertura della cava sia stato realizzzato con il mafioso proprieratario dei terreni». L’accusa, pesantissima, arriva dall’associazione Sicilia Antica ed è rivolto all’ormai ex dirigente generale del dipartimento Energia Tuccio D’Urso, da poco in pensione e protagonista nelle ultime settimane di un’accesa polemica con i deputati che hanno bocciato la proroga del suo contratto, proposta da Nello Musumeci. D’Urso, che a inizio mese ha ricevuto un incarico da consulente a titolo gratuito dal governatore, tre giorni prima di lasciare gli uffici palermitani di viale Campania, ha firmato l’annullamento dell’atto con cui, a novembre di due anni fa, la Regione revocava l’autorizzazione della Fassa Bortolo a coltivare una cava nel territorio di Agira, nell’Ennese. Quel provvedimento fu preso dopo che era emerso che gli imprenditori trevigiani avevano acquistato parte dei terreni da Giuseppe Pecorino, esponente della mafia di Catenanuova con agganci nella famiglia catanese di Cosa nostra dei Santapaola. All’uomo la guardia di finanza ha sequestrato un patrimonio da un milione di euro ad aprile dello scorso anno.
Alla base della revoca c’era stata, si legge nei documenti del tempo, la violazione del patto di integrità. Il dipartimento sottolineò come Pecorino avesse donato i terreni al figlio Biagio, anche lui indagato, per poi rientrarne in possesso poco prima della firma del contratto di compravendita. Inutili erano state, al tempo, le spiegazioni fornite dall’azienda veneta che aveva assicurato di non essere a conoscenza dei trascorsi giudiziari di Pecorino, già condannato per associazione mafiosa. A distanza di due anni, però, la posizione del dipartimento regionale e, nello specifico, di D’Urso è cambiata. Nella determina di fine agosto si cita l’istanza con cui, poche settimane prima, la Fassa Bortolo aveva chiesto il riesame degli atti che avevano portato alla revoca dell’autorizzazione «alla stregua di documentate circostanze fattuali attestanti l’assoluta estraneità della società rispetto alle vicende giudiziarie».
L’ex dirigente generale ha motivato la decisione alla luce della lettura del decreto di chiusura delle indagini nei confronti dei Pecorino – in cui non vengono rivolte accuse agli imprenditori – ma anche tenendo conto «gli interessi occupazionali». La Fassa Bortolo, infatti, aveva assicurato l’attivazione di un centinaio di posti di lavoro con l’avvio della cava. Percorrendo i passaggi che hanno portato alla firma della determina, emerge come la decisione sia stata assunta da D’Urso in parziale contrasto rispetto a quanto proposto dal distretto minerario di Caltanissetta, che dipende direttamente dal dipartimento all’Energia. Il distretto, infatti, aveva proposto di chiedere un parere legale all’Avvocatura dello Stato. Una possibilità di cui l’ex dirigente generale ha deciso di non avvalersi sottolineando come quel passaggio avrebbe determinato «un inutile aggravio del procedimento e dunque un ingiustificato ritardo nella definizione del procedimento medesimo».
Mentre dal distretto minerario la volontà è quella di non rilasciare dichiarazioni, a parlare a MeridioNews è proprio D’Urso, che si dice sicuro di avere fatto la scelta più giusta. «Successivamente al ritiro dell’autorizzazione – spiega l’ex dirigente – la procura di Caltanissetta hanno condotto indagini da cui è emerso che la società Fassa non era minimamente a conoscenza del passato criminale del signor Pecorino, né tantomeno hanno avuto alcuna intenzione di agevolare Cosa nostra. Pertanto mi sono assunto la responsabilità di annullare la revoca».
Di tutt’altro avviso è l’associazione Sicilia Antica, che già due anni fa prese posizione contro la cava di contrada Santa Nicolella. «In una terra martoriata da collaborazioni e trattative con la criminalità organizzata all’assessorato non importa neanche che gli sia (a Pecorino, ndr) stata assicurata, tramite apposito contratto, la partecipazione agli utili derivanti dal libero utilizzo del materiale inerte», si legge in una nota. L’associazione critica anche la prescrizione data da D’Urso alla Fassa Bortolo «diretta a eliminare tutte le clausole o patti accessori che possano produrre qualsivoglia effetto giuridico nei confronti dei Pecorino». Una revisione del contratto che secondo Sicilia Antica sarebbe «anomala».