Candela, la caduta di un altro eroe della legalità Nel 2016 diceva: «Mi chiamano sbirro, è un onore»

«Mi piace essere forte coi forti e debole con i deboli, nella pubblica amministrazione si è forti con i deboli e debole con i forti». Anno 2016, Antonino Candela è sulla cresta dell’onda. Il suo è uno dei volti della legalità made in Sicily, affermatosi a colpi di denunce e ritorsioni. Sopportate, sventate, contrastate con lo spirito del nonno carabiniere e l’atteggiamento di chi non ha nulla da chiedere a nessuno: «Mi dicono che sono antipatico, che non ho il dono della diplomazia. Ma la diplomazia io la abiuro, sono solo me stesso», ribadisce portando in giro, per gli ospedali palermitani, la troupe della trasmissione Rai Cose nostre, che gli dedica un servizio. 

Con il look che richiama il commissario Montalbano e una passione dichiarata per il condottiero Annibale, Candela sciorina i propri successi, su tutti l’inversione di tendenza che ha saputo imporre nella gestione dell’Asp 6 di Palermo. Azienda fino a pochi anni prima piegata dalle pressioni di chi nella sanità ha sempre avuto un pozzo da cui attingere soldi su soldi e alla cui guida è arrivato, tre anni prima, dopo lo scandalo sulla truffa dei pannoloni. Oggi quell’intervista ha il sapore della beffa: Candela, infatti, da qualche ore è ai domiciliari con l’accusa di essere stato anello di un sistema criminale interessato a mettere le mani negli appalti

L’ennesimo atto di una storia che – se troverà conferma nei tribunali – in Sicilia sempre più spesso salta il presentarsi come tragedia per rivelarsi direttamente farsa. Candela è accusato di essersi intascato mazzette per centinaia di migliaia di euro e di avere condizionato gli iter di sottoscrizione dei contratti per avvantaggiare l’impresa Tecnologie Sanitarie spa a discapito delle casse pubbliche. «A Palermo mi dicono che sono sbirro, è un onore per me», raccontava davanti alle telecamere nel 2016. 

E di onori, Candela, ne ha ricevuti. Anche dalle più alte istituzioni: a ottobre di quell’anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo premia con la medaglia d’argento. «La sanità muove milioni di euro, chiaramente fa gola agli interessi criminali. Ho capito che avrei dato sicuramente fastidio», dichiarava il manager, rimasto appiedato al nuovo giro di nomine nel 2018 e per questo imbufalito con Nello Musumeci. Al punto – si scopre oggi leggendo le carte dell’inchiesta Sorella Sanità – da farsi sedurre dall’idea, presentatagli dal proprio faccendiere, Giuseppe Taibbi, di creare un dossier per screditare i nomi scelti dal governatore.

Manovre occulte che mal si conciliano con l’immagine di uomo trasparente, poco avvezzo ai convenevoli e interessato alla sostanza delle cose. «Odio la cravatta, e per questo molti sono convinti che io non sia il direttore generale», rivelava. Forte però della consapevolezza di muoversi verso l’orizzonte della giustizia: dalle denunce degli atti di vandalismo alla rimozione dei troppi distributori automatici di cibi e bevande presenti all’ospedale Ingrassia, fino alla revoca degli appalti confezionati con i costi gonfiati. «Questo ha consentito il ritorno nelle casse dello Stato di ben cinquanta milioni di euro», sottolineava.

Come in ogni storia di eroismo che si rispetti, anche nel caso di Candela – che a marzo è stato nominato Musumeci a guida del comitato tecnico sulla gestione del Covid-19 in Sicilia – non sono mancate minacce e intimidazioni. Dalle denunce per quelli che sono stati considerati atti di sabotaggio dentro gli ospedali al ritrovamento di un proiettile sull’uscio di casa. «Mi hanno consigliato di stare attento, di non esagerare in quelle che invece sono azioni obbligatorie», confidava. 

La successione di fatti inquietanti porta le autorità ad assegnargli una scorta. «In quel momento cambia la tua vita, alle mie figlie ho spiegato che è una misura che lo Stato dispone per chi fa il proprio dovere», raccontava Candela, guardando il mare dalla scogliera che sovrasta la costa della riserva di Capo Gallo: «Qui mi rigenero, si rimane con se stessi». Non molto distante da lì si trova il cantiere navale della Motomar. Luogo in cui, ad agosto 2018, Candela si è recato ma non da solo. Insieme a lui c’era il fidato Taibbi. Un incontro riservatissimo con modalità, secondo gli inquirenti, «analoghe a quelle che solitamente contraddistinguono i contesti di criminalità organizzata di tipo mafioso».


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