L'Eni, che gestisce l'invaso Ragoleto, ha escluso che all'origine della rottura degli argini ad Acate ci sia stato il rilascio di acqua. A confermarlo è il dirigente regionale Giuseppe Basile. La causa, dunque, va ricercata nella mancata manutenzione dell'alveo
Esondazione Dirillo, esclusa l’apertura della diga di Licodia Esperto: «Ha piovuto molto, ma non in quantità eccezionali»
Non è stata una esondazione grave come quelle del 2008 e del 2012, in occasione del ciclone Athos, ma anche stamattina si è temuto il peggio quando il fiume Dirillo, in territorio di Acate, ha rotto gli argini, allagando la statale 115 nel tratto compreso tra i chilometri 280 e 285 e facendo preoccupare non poco i tanti produttori che gestiscono le loro aziende agricole nella ricca vallata del fiume, cuore pulsante dell’economia di buona parte della Sicilia. Il sindaco di Acate Giovanni Di Natale, per tutta la mattinata, ha seguito sul posto l’evolversi della situazione e la carreggiata della statale è stata riaperta solo intorno alle ore 11.30 da Anas.
Sul posto hanno operato gli uomini della Protezione Civile di Acate e del Consorzio di Bonifica di Gela, insieme ai tecnici del Comune, ma indispensabile è stato l’aiuto dei produttori che, per ore, hanno disposto sacchi di sabbia in prossimità dei punti in cui il Dirillo ha rotto o ha rischiato di rompere gli argini. «Tramite il prefetto di Ragusa – ha fatto sapere il primo cittadino – ho interessato l’ente che gestisce la diga Ragoleto, ossia l’Eni, per evitare che rilascino acqua e aggravino la situazione. Il punto più critico è quello dove, anni fa, sono state realizzate le paratie che devono dirottare l’acqua verso il lago Biviere e che, anche se sono aperte al massimo, non permettono il deflusso libero dell’acqua del fiume perchè il letto non è pulito. La cosa paradossale è che in estate avevo allertato gli organi competenti, invitandoli a controllare che per il deflusso delle acque fosse tutto sotto controllo e ricevendo rassicurazioni in tal senso. Invece – ha concluso – ci ritroviamo di nuovo in questa situazione e ho dovuto chiamare mezzi meccanici per eliminare questo tappo e favorire il normale deflusso».
Per alcune ore, data la grande quantità di acqua che ha ingrossato il fiume, era stata ipotizzata anche un’apertura pariziale della diga di Licodia, smentita poi categoricamente da Eni. Può accadere, infatti, che, in condizioni di pericolo, sia necessario svuotare parzialmente l’invaso per non farlo tracimare, ma non è quello che sarebbe accaduto oggi. «Come centro funzionale non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione in tal senso», confema Giuseppe Basile, dirigente del Centro funzionale decentrato multirischio integrato della Regione Siciliana, che si occupa dell’elaborazione e pubblicazione degli avvisi di protezione civile per il rischio idrogeologico e idraulico. «Quando l’ente gestore decide di aprire parzialmente la diga – spiega Basile – ci sono procedure da attuare che si riferiscono al piano di gestione della diga (che viene discusso in prefettura), al documento di protezione civile del gestore e alle regole stabilite dall’ufficio dighe nazionale. Una di queste procedure prevede che il gestore ci faccia sapere che ha esigenza di scaricare, e noi ci attiviamo per darne comunicazione a tutti, in modo che gli enti preposti sappiano come comportarsi».
Ieri, come detto, non c’è stata alcuna comunicazione riguardante la diga Ragoleto. Resta in campo, dunque, solo l’ipotesi delle piogge abbondanti. Ma ha piovuto davvero così tanto, nelle ultime ore, da far esondare il Dirillo? A dare una risposta è Luigi Pasotti, responsabile dell’Unità operativa di climatologia, idrografia e idrologia della Regione Siciliana. «Le piogge sono state abbondanti – commenta – ma non eccezionali. La rete pluviometrica ci dice che nelle ultime 24 ore le due stazioni della zona della diga, che è ampia diversi chilometri, hanno registrato un dato che va dai 54 ai 69 millimetri. L’intensità è stata, certamente, elevata, ma non a carattere di nubifragio».