Tra i rilievi del giudizio di parifica, tiene banco anche il disavanzo di 812 milioni di euro maturato nel 2018, «equamente distribuito tra la gestione di competenza e quella dei residui». In soldoni, circa 400 milioni sono di responsabilità dell'esecutivo
I magistrati contabili bocciano il bilancio targato Musumeci Tra politiche «inefficaci» e «dubbia attendibilità» dei conti
L’unica attenuante della Corte dei Conti, nel pesantissimo giudizio che non si limita a certificare i due miliardi di disavanzo, ma solleva numerosissime «irregolarità» che il governo dovrà sanare a strettissimo giro, è data dall’addebitare (anche) al passato le responsabilità dell’attuale situazione. Ma al netto di questo passaggio, al quale diversi esponenti dell’esecutivo si sono aggrappati, le valutazioni restano gravissime.
Perché quando la Corte parla di «inefficacia delle politiche pubbliche rispetto ai vincoli di riduzione del deficit di bilancio e del disavanzo di amministrazione», lo fa in riferimento ai «principali saldi risultanti dai documenti costituenti il ciclo del bilancio 2018 della Regione Siciliana». Dunque alla gestione dei conti pubblici targata Gaetano Armao e Nello Musumeci. Secondo la magistratura contabile, «il risultato di amministrazione disponibile registra un peggioramento 1.027 milioni di euro, toccando il valore più basso della serie storica in contabilità armonizzata, ovvero -7.313 milioni di euro». Insomma, complessivamente, ma non è una novità, il disavanzo nei conti pubblici siciliani sfiora i sette miliardi e mezzo di euro.
Sull’esercizio finanziario 2018, la Corte contesta che «si registrano riscossioni complessive per 19.538 milioni di euro e pagamenti complessivi per 20.295 milioni. Il deficit è equamente distribuito tra la gestione di competenza e quella dei residui». Tradotto in soldoni, nel 2018 il disallineamento tra entrate e uscite, in un bilancio di oltre 20 miliardi, è stato di 812 milioni di euro. La metà dei quali riguarda il passato, mentre circa 400 milioni sono «di competenza»: sono stati, cioè, prodotti l’anno scorso.
Tra le irregolarità maggiori, trovano spazio il fondo crediti di dubbia esigibilità e il fondo perdite società partecipate (secondo la Corte presentano profili di irregolarità in relazione al perimetro di riferimento e alla metodologia di calcolo); il fondo residui perenti, che risulta alimentato e utilizzato in maniera anomala; il fondo contenzioso, che secondo i giudici contabili «si presenta del tutto inattendibile stante l’assenza di un’apposita banca dati e di un sistema di analisi e di stima delle controversie e del rischio di soccombenza» e poi i fondi vincolati, che «presentano plurime irregolarità sia nella quantificazione che nell’utilizzo».
«Per effetto di tali movimenti – scrivono ancora i giudici nella parifica -, la disponibilità di cassa si è ridotta di oltre il 70 per cento rispetto all’analogo dato rilevato alla fine del precedente esercizio, attestandosi, al 31 dicembre 2018, a 314 milioni di euro, dato che diventa negativo al netto dei pignoramenti e dell’importo residuo dei pagamenti da effettuare sugli originari debiti di tesoreria». Ancora, guardando anche alle entrate in conto capitale, si sottolinea che nel 2018 si sono registrati «accertamenti per soli 669 milioni: ad avviso delle Sezioni riunite, il sensibile decremento di dette entrate appare preoccupante in considerazione della riduzione di un quarto rispetto all’anno precedente».
La Corte dei Conti, insomma, non ci gira attorno: «Il quadro che restituisce l’analisi è di un risultato di amministrazione di dubbia attendibilità che presenta ancora notevoli profili di opacità non esclusivamente legati all’inadeguata applicazione dei nuovi principi contabili».