Via libera da Roma al progetto per «la modifica del tradizionale schema produttivo in un ciclo verde che consentirà la produzione di biocarburanti». E mentre si accumulano rinvii e le aree del perimetro industriale rimangono dismesse, il ministero dei Beni culturali prescrive nuove opere di compensazione
Gela, Eni parte in ritardo sulla raffineria green L’impianto a idrogeno verrà avviato nel 2018
Dopo la chiusura della Raffineria di Gela, a luglio 2014, i primi a dire che la nuova Green Refinery – che avrebbe dovuto sostituirla – avrebbe avuto vita difficile erano stati gli stessi operai dell’indotto. E a distanza di tre anni avevano ragione loro. Lo scorso 7 agosto il ministero dell’Ambiente ha dato il via libera al progetto dell’Eni, firmando il decreto per l’autorizzazione integrata VIA/AIA (Valutazione di Impatto Ambientale/Autorizzazione Integrata Ambientale). Peccato che nel protocollo d’intesa del 6 novembre 2014 il cane a sei zampe avesse indicato «l’entrata in esercizio nel primo semestre del 2017». Tempo abbondantemente scaduto. I lavori per il completamento della raffineria verde, dicono le nuove stime, dovrebbero essere ultimati entro giugno 2018. Almeno con un anno di ritardo rispetto al cronoprogramma della multinazionale, avallato dal Comune di Gela, dalla Regione e dal ministero dello Sviluppo economico.
Per non incorrere in una nuova richiesta di autorizzazioni su un nuovo impianto, che avrebbe avuto bisogno di maggiore tempo, il progetto «prevede la modifica del tradizionale schema produttivo della raffineria di Gela in un ciclo green che consentirà la produzione di biocarburanti a partire da biomasse oleose e interventi di manutenzione straordinaria su unità esistenti». A influire sui ritardi, a detta dei manager del cane a sei zampe, il ricorso presentato dalle associazioni ambientaliste e da quattro Comuni dell’hinterland (ma non c’è Gela in questo elenco) contro l’installazione di una piattaforma a gas nello specchio di mare che va da Gela e Licata, nell’ambito del progetto Offshore ibleo. Dopo che a settembre 2016 il Consiglio di Stato aveva rigettato il ricorso, con una mossa a sorpresa Eni ha cambiato nuovamente i piani industriali preferendo concentrarsi su una ricollocazione degli impianti di trattamento del gas, non più a mare su una nuova piattaforma, ma a terra nelle aree rese disponibili dalla Raffineria.
E in quell’enorme perimetro (cinque chilometri quadrati molti dei quali al momento inutilizzati, e per i quali non è andato a buon fine il recente bando per l’utilizzo delle aree dismesse) dovrà sorgere inoltre un nuovo impianto di produzione di idrogeno, denominato Steam Reforming, per il quale sono state portate avanti le attività preliminari e che nei disegni di Eni dovrebbe «avviare la produzione entro il giugno 2018 e consentire entro il 2019, con il completamento anche del secondo nuovo impianto di pretrattamento delle biomasse e l’utilizzo delle materie prime di seconda generazione composte dagli scarti della produzione alimentare, che comunque sarà possibile lavorare in piccole percentuali anche nella prima fase».
Dei due miliardi e 200 milioni di euro, che Eni aveva promesso di impiegare nel processo di riconversione, a fine giugno 2017 l’azienda dichiara che «sono stati investiti sul territorio complessivamente 535 milioni di euro». Rimangono al palo i 32 milioni di euro di compensazioni per la città, previsti anche quelli tre anni fa, ma di cui finora si ha notizia solamente per impegni di spesa per complessivi sei milioni di euro. Nella pronuncia di compatibilità ambientale della Green Refinery, il ministero dei Beni Culturali e del Turismo ha dato parere favorevole «a condizione che il progetto esecutivo sia corredato da opere di compensazione che dovranno essere concordate con la soprintendenza competente e che preferibilmente dovranno riguardare la fascia costiera compresa tra la raffineria e il mare».