Migranti, disagi psichici causati da fuga e violenza Msf: «Attese per concessione d’asilo non aiutano»

Sono storie invisibili ma ricorrenti, come questa. «Era scalzo, con in mano un bastone di legno che agitava in aria, bloccando il traffico per mezz’ora, in una delle vie del centro, vicino la struttura, un pomeriggio di novembre», racconta un mediatore di un centro d’accoglienza di Vittoria. Protagonista, un uomo di nazionalità nigeriana, che ha ottenuto poi la protezione umanitaria. «Avevamo avvertito i segni del disagio, ma non abbiamo avuto la capacità di rispondere adeguatamente e prontamente», continua. «Quel giorno lui vedeva gli spiriti, gridava, tremava. Alla fine, con le forze dell’ordine, è stata avvertita anche l’azienda sanitaria locale». Al giovane rifugiato è stato ordinato un tso (trattamento sanitario obbligatorio), successivamente è stato ricoverato. «Ha trascorso solo una notte in ospedale a Ragusa, poi è scappato ed è tornato in struttura – sottolinea l’operatore -. Da quel momento hanno iniziato a somministrargli farmaci per stabilizzarlo».

Un caso di alcuni mesi fa, non isolato. Sono sempre più numerosi i ricorsi d’urgenza a cure psichiatriche in Italia per i migranti. «L’accesso ai servizi funziona attualmente su base emergenziale […]. L’Spdc (Servizio psichiatrico di diagnosi e cura, ndr) diventa la via di accesso privilegiata e solo nel momento in cui la patologia esplode e non è più controllabile», si legge nel rapporto Traumi ignorati, pubblicato da Medici Senza Frontiere. «Il ricorso al pronto soccorso resta la pratica più diffusa per una soluzione rapida ma non strutturata dei problemi».

Il rapporto della Ong è nato per «studiare i bisogni di salute mentale dei migranti e il loro accesso ai servizi territoriali». L’indagine è stata condotta nelle provincia di Ragusa con la raccolta di dati scientifici e, successivamente, in quelle di Trapani, Roma e Milano, dove la presenza di migranti ospitati è più alta della media. I migranti di oggi hanno caratteristiche diverse rispetto al passato: «Qualche anno fa erano pazienti forti per i quali avevamo strumenti diversi con cui lavorare. Oggi, e soprattutto dal 2011 con l’emergenza Nord Africa, da noi arrivano rifugiati e richiedenti asilo vittime di tortura e di molteplici violenze», riporta una testimonianza.

All’interno del campione preso in carico dal team di Msf nel territorio ibleo, tra l’ottobre 2014 e il luglio 2015, dei 387 migranti che hanno sostenuto colloqui individuali, ben 319 – l’82 per cento – erano stati vittime di eventi traumatici durante il viaggio. Di questi, più di un terzo avrebbe subito torture all’interno delle terribili carceri libiche. Tali esperienze drammatiche, senza opportuno sostegno o peggio subendo ulteriori disagi, hanno lasciti precisi: secondo il rapporto, il 60 per cento del campione era composto da «pazienti con bisogni di salute mentale e di cura».

L’organizzazione non governativa ha sostenuto un percorso di cura per 199 migranti. Di questi, il 42 per cento era affetto da sindrome da stress post traumatico, il 27 da ansia, il 19 da depressione. Con le diagnosi che spesso hanno individuato duplici patologie. Secondo il rapporto «l’86,9 per cento dichiara di avere difficoltà nella vita post migrazione» e, alla fine del percorso terapeutico, «la maggior parte dei pazienti (il 67,3 per cento) presentava un miglioramento».

L’indagine denuncia la condizione dell’accoglienza dei migranti, per cui «emerge la necessità di riformare l’approccio della problematica del trattamento della salute mentale». Viene elencata una serie di cause del disagio psichico, tra le quali le lunghe attese per la domanda di protezione internazionale, per cui il migrante vive «in una sorta di limbo, di giornate che si alternano tutte uguali», in strutture isolate e periferiche dove «il sentimento di ghettizzazione è alto». Nel rapporto, inoltre, si critica il sistema – come già in passato aveva fatto Medici per i diritti umani (Medu) nel report Asilo Precario – per cui circa l’80 per cento dei rifugiati e richiedenti asilo presenti in Italia sono accolti in centri straordinari (i Cas) dove l’attività di supporto psicologico «è spesso improvvisata e a macchia di leopardo […], strutture tra le più disparate, con standard di accoglienza nettamente inferiori rispetto a quelli assicurati nel sistema Sprar».

Infine il rapporto, considerato che «le strutture esistenti sono insufficienti, il ruolo del servizio sanitario nazionale limitato, le aziende sanitarie locali impreparate», propone soluzioni pratiche. A partire dall’esigenza per le strutture pubbliche di dotarsi «di personale formato nel contesto della psicologia transculturale e dell’etnopsichiatria» fino all’invito al ministero della Salute e alle Asl di designare «una figura di riferimento nell’area migrazione, responsabile di coordinare la risposta tra i servizi sanitari locali, i dipartimenti di salute mentale e i centri di accoglienza».


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