Tra i testi sentiti nel corso dell'udienza c'è anche Stefano Viberti che lasciò il parà siracusano a pochi metri da dove poi fu ritrovato morto tre giorni dopo. Sotto la torretta di asciugatura dei paracadute all'interno della caserma Gamerra di Pisa
Processo Lele Scieri, tanti «non ricordo» del supertestimone «Ferite incompatibili con caduta» già in una nota dell’epoca
Nel processo con rito ordinario per l’omicidio volontario aggravato del parà siracusano Emanuele Scieri, avvenuto all’interno della caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999, ieri è stato il giorno dell’audizione di quello che fin dal primo momento è stato considerato «il supertestimone». Un appellativo che però non sembra calzare a pennello a Stefano Viberti. Oggi montatore meccanico, all’epoca era il commilitone che era rientrato in caserma insieme a Scieri e che con lui si era attardato nel vialetto a chiacchierare e fumare una sigaretta, fino a pochi metri dalla torretta di asciugatura dei paracadute. Il luogo dove, dopo tre giorni, verrà ritrovato il corpo senza vita del parà. Sul banco degli imputati ci sono gli ex caporali Alessandro Panella e Luigi Zabara, quest’ultimo presente come sempre in aula per un’udienza che è durata più di otto ore. Nel procedimento con rito abbreviato sono stati assolti in primo grado il sottufficiale dell’esercito Andrea Antico per lo stesso reato e gli ex ufficiali della Folgore Enrico Celentano e Salvatore Romondia che erano accusati di favoreggiamento. La procura ha già presentato l’appello.
«L’ultima immagine che ho di Scieri è con il cellulare in mano, mentre lo sta aprendo». Il ricordo di Viberti risale a quando aveva vent’anni, 23 anni fa. Come aveva già fatto quando è stato sentito in commissione parlamentare, Viberti ha risposto con tanti «non ricordo». Al punto che anche la presidente ha notato che era «particolarmente agitato» e ha provato a metterlo a proprio agio. I vuoti di memoria sono stati colmati dalle contestazioni che lui stesso ha poi confermato. Ha sottolineato di non avere mai ricevuto minacce e ha ribadito che non aveva detto a Romondia dove aveva lasciato Scieri perché «non lo ritenevo utile, pensavo che fosse uscito». Una questione per cui Viberti ha ammesso di portarsi dietro «un minimo di senso di colpa». Qualche giorno dopo il ritrovamento del cadavere a pochi metri da dove lo aveva lasciato, viene firmato un documento che ne dispone il trasferimento dalla caserma Gamerra agli alpini di Cuneo. Uno spostamento che non aveva chiesto (ma che era arrivato dall’alto) e che avverrà, di fatto, solo nel mese di febbraio dell’anno successivo. «Una situazione anomala e assurda» l’ha definita Giovanni Fantini, il vicecomandante della brigata Folgore anche lui teste nell’udienza di ieri.
Lui è il colonnello che ha effettuato l’ispezione straordinaria alle 5.30 del Ferragosto nella caserma insieme al comandante Celentano. Quest’ultimo, nei ricordi di Fantini, non avrebbe voluto ci fosse anche un caporale «perché voleva parlare di cose private». Un proposito che sarebbe saltato su insistenza di Fantini di fronte alla domanda: «Se buchiamo, chi cambia la ruota?». È stato lui a confermare di essere stato uno di quelli che ha ricevuto lo Zibaldone, una sorta di manuale con citazioni auliche un elenco di atti di nonnismo per le reclute scritto da Celentano. Per Fantini, però, lo scandalo che il testo aveva fatto dopo la morte di Scieri era «esagerato». Con Celentano (che era il suo diretto superiore) si davano del tu e avevano un rapporto intimo. Eppure della morte di Scieri riferisce che non hanno mai parlato. Quando il comandante della Folgore viene convocato dal pubblico ministero per essere sentito sulla vicenda, chiama lui che gli raccomanda di non andare con addosso la mimetica e di dire subito che «all’alba del 15 eravamo andati a fare la visita in caserma altrimenti, in questo mondo complottista, chissà che si immaginano. Perché la coincidenza è troppo strana». E, invece, Celentano non gli dà retta e non riferisce di quella insolita ispezione. Una circostanza di cui Fantini, che non era mai stato sentito dalla procura, parla per la prima volta durante una seduta in commissione parlamentare.
Tra i testi di ieri, oltre ai consulenti Federico Boffi e Grazia La Cava, c’era anche Pierluigi Arilli. Il luogotenente che, insieme a molti altri, arriva in caserma dopo il ritrovamento del cadavere. È suo il cellulare che viene chiamato da quello di Scieri ma lui ha ribadito che non ricorda di avere fatto quella telefonata diretta al proprio numero. Nel corso dell’udienza, è emersa è l’esistenza di un documento da sempre agli atti che sarebbe una versione più lunga di una nota che sarebbe stata protocollata. Si tratta di un documento che riguarda le prime considerazioni del medico legale Marino Bargagna fatte proprio ad Arilli. Un po’ come quando il commissario Montalbano va a chiedere le prime informazioni «a occhio» a Pasquano. Nella versione lunga del documento (in cui Arilli ha riconosciuto la propria firma) c’è una parte in cui si parla di «lacerazioni in corrispondenza di alcune ferite incompatibili con la caduta». Quella al piede sinistro, quelle alle nocche delle dita delle mani e anche una slogatura alla caviglia. Questa parte di testo, però, è evidenziata con una parentesi graffa e un appunto a lato: «Ritenuto non pertinente da Giambartolomei». Il magistrato che condusse le indagini all’epoca e che, nel 2001, chiese l’archiviazione. L’ex pm che quando è stato sentito dalla commissione ha esordito dicendo che «nelle indagini la verità non viene quasi mai fuori».