Le sanzioni alla Russia e il futuro dell’Isab-Lukoil di Priolo «Bomba sociale. A rischio ci sono 10mila posti di lavoro»

La guerra in Ucraina aveva fatto scattare il campanello d’allarme ma il colpo mortale alla raffineria Isab-Lukoil di Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, rischia di darlo l’embargo al petrolio russo via mare deciso dal Consiglio europeo. In bilico ci sono quasi diecimila posti di lavoro e un’area industriale che potrebbe scomparire, a causa di un effetto a catena, dalla cartina geografica. I sindacati, insieme a Confindustria Siracusa, da tempo chiedono una seria interlocuzione con il governo ma da Roma, almeno per il momento, escluse le frasi di circostanza, ci si è limitati a un incontro online, avvenuto il 31 maggio, con la viceministra allo Sviluppo economico Alessandra Todde. «Trovo curioso che dopo dieci mesi di proteste ci si accorga, a 24 ore dal pacchetto di sanzioni, che l’emergenza avrà un serio impatto sul territorio», spiega Roberto Alosi, segretario della Cgil Siracusa, durante la trasmissione radiofonica Direttora d’aria.

La raffineria nel siracusano ha una storia che comincia negli anni ’70 con la denominazione di Industria siciliana asfalti e bitumi, negli anni ha visto alternarsi al vertice colossi come Agip ed Erg. Quest’ultima nel 2008 ha venduto il 49 per cento delle azioni a Lukoil. Primo passo che successivamente ha portato a un controllo totale da parte della più grande compagnia petrolifera russa che opera tramite la controllata svizzera Litasco. L’impianto tecnicamente si occupa di lavorare i carichi delle petroliere, importato da Mosca, trasformandoli in GPL, benzina verde, kerosene, gasolio e olio combustibile. I numeri non lasciano spazio a interpretazioni: l’area industriale vale oltre 55 per cento del prodotto interno lordo della provincia di Siracusa e l’1 per cento a livello regionale

Prima della guerra in Ucraina il greggio lavorato proveniente a Priolo dalla Russia ammontava a circa il 30 per cento. La percentuale è arrivata però al 100 per cento dopo l’inizio delle sanzioni, con le banche che hanno bloccato le linee di credito alla raffineria. Ecco perché i sindacati chiedono a gran voce delle garanzie economiche per reperire la materia prima da altri mercati. «Si tratta di una bomba sociale in un’area già indebolita sul piano economico e infrastrutturale – continua Alosi – Corriamo il rischio di una desertificazione industriale, con la perdita di uno dei pilastri del nostro polo di raffinazione in un’area compromessa che mai nessuno vorrà risanare. Questo scenario determinerebbe anche l’interruzione di qualunque percorso di riconversione industriale ecosostenibile per cui ci siamo battuti da tempo».

Passaggio quest’ultimo a cui si aggiunge l’obiettivo di raggiungere una riduzione del 55 per cento delle emissioni di anidride carbonica entro il 2030. Motivo che nei mesi scorsi aveva portato la Regione a chiedere il riconoscimento dello stato di area di crisi industriale complessa per ottenere maggiori fondi da destinare alle multinazionali, evitando fughe verso altri poli. «Nella nostra area industriale abbiamo cinque multinazionali che si muovono dove ci sono condizioni certe per investire. Dove non c’è questa sicurezza si preferisce andare via», aggiunge il presidente di Confindustria Siracusa Diego Bivona.

«Il tempo forse è scaduto – aggiunge Bivona – Fa specie avere perso due anni per intavolare una interlocuzione con il governo e il fatto che dopo l’incontro di ieri non sia stato fissato un nuovo appuntamento con una data certa». Sul calendario però bisognerà cerchiare in rosso quella del 10 giugno. Giorno in cui, a due giorni dalle amministrative in Sicilia, le sigle sindacali organizzeranno una mobilitazione davanti lo stabilimento. «Il punto su cui stiamo insistendo – conclude Alosi – è che la presidenza del Consiglio, mettendo insieme i quattro ministri che sono coinvolti in questa storia, faccia sintesi e ci dica qual è l’indicazione sul futuro». Il destino di migliaia di famiglie monoreddito passa dalle mani di Mario Draghi e Vladimir Putin.


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