Politica

Ars, nella variazione di bilancio non c’è traccia del Reddito di povertà di Schifani e saltano le elezioni per le province

Giornata di fuoco per i deputati regionali, impegnati ieri all’Assemblea regionale siciliana nella votazione della quarta variazione di bilancio, una vera e propria Finanziaria da 400 milioni di euro. Grandi temi, come aveva chiesto il governo, ma anche grandi scontri, quasi tutti chiusi a favore dell’opposizione, conditi da qualche colpo di coda della maggioranza. Maggioranza costretta al passo indietro su parti centrali della legge sull’urbanistica, stessa cosa sulla sanatoria dei beni confiscati, e che fa saltare con un colpo di spugna le votazioni di secondo livello per le province, prevista per il prossimo 15 dicembre. Insomma, non ci si fa mancare niente. Anzi no, una cosa mancava: il Reddito di povertà annunciato da Renato Schifani durante la convention di Forza Italia dello scorso weekend.

«Niente a che vedere con il reddito di cittadinanza», aveva detto Schifani, parlando di una misura che avrebbe dovuto – parole sue – essere presentata oggi nelle more della variazione di bilancio e che prevedeva uno stanziamento di 30 milioni di euro per le famiglie con Isee inferiore a cinquemila euro. Mossa criticata dall’opposizione, specie dal Movimento 5 stelle, che ha rimarcato l’intenzione di scimmiottare il reddito di matrice grillina. Ma a muovere la critica principale erano stati i sindacati, con in testa la Cgil, con il suo segretario generale, Alfio Mannino, che aveva fatto notare come «ogni anno col reddito di cittadinanza arrivavano sull’Isola oltre un miliardo e mezzo di euro per 280 mila percettori, circa 600 euro al mese per ogni nucleo familiare. Con il reddito di Schifani, se la platea dei richiedenti fosse la stessa, con uno stanziamento di 30 milioni di euro, arriverebbero 107 euro l’anno a famiglia, invece che settemila». Problema da poco, al momento, visto che di Reddito di povertà nella variazione di bilancio non c’è alcuna traccia. Anche se – come specifica il coordinatore del M5s in Sicilia, Nuccio Di Paola, a MeridioNews – «dicono che forse la presenta come maxi-emendamento».

Approvato invece il salva-casa di matrice meloniana, anche se i due passi indietro sul fronte urbanistico pesano non poco, con l’assessora Giusi Savarino che chiede lo stralcio dell’articolo 8, che tanta polemica aveva causato per la possibilità prevista, dopo la demolizione di un edificio, di aumentare la cubatura del 30 per cento al momento della ricostruzione, avallando così – secondo l’opposizione – il consumo di suolo. E l’addio anche alla contestata norma sui beni confiscati, fatta fuori grazie a un emendamento soppressivo del Movimento 5 stelle. «Sanare un immobile costruito abusivamente da un mafioso sulla riva del mare, solo perché è stato acquisito dallo Stato, sarebbe stata un’aberrazione giuridica, morale, etica e politica che questo Parlamento non poteva permettersi», le parole di Antonio De Luca, capogruppo pentastellato, tra i primi detrattori della legge.

Si passa infine alle province. Ancora una volta. La maggioranza qui riesce ad annullare il voto di secondo livello – appannaggio cioè di sindaci e consiglieri comunali – ormai calendarizzato al 15 dicembre. Altra decisione che ha fatto scoppiare la polemica. «Speravo che non arrivasse quello che invece è arrivato come emendamento: quello che chiede, sulle province, di posticipare per l’ennesima volta la data già stabilita da quest’Aula, che si è espressa con un voto, la finestra di elezioni di secondo grado per l’unica regione che dopo dodici anni di commissariamento ancora non vota». Lo dice Michele Catanzaro, capogruppo del Pd, mentre spunta un altro disegno di legge di maggioranza per riprovare a tornare al voto di primo livello, qualora venisse abolita la legge Delrio a livello nazionale. «Il disegno di legge per il voto di primo livello – che è stato approvato in commissione Affari istituzionali – già nella giornata di domani verrà inviato in commissione Bilancio per un passaggio veloce per poi tornare in commissione Affari istituzionali», dice Ignazio Abbate, che della commissione Affari istituzionali è il presidente. Ma è chiaro che i tempi sarebbero comunque abbastanza lunghi.

Abbate a cui dà manforte il collega Stefano Pellegrino, di Forza Italia, che ha ribadito l’importanza di ridare il voto e la parola ai cittadini, suscitando la replica del Dem Antonello Cracolici. «Se è davvero così – spiega – allora perché in questi sette anni non avete votato? A 45 giorni dal voto le elezioni non si rinviano, se non in presenza di fatti clamorosi. Voi non volete votare per due ragioni. Primo: non vi siete messi d’accordo su come spartirvi i candidati alla presidenza dei liberi consorzi, quindi non si vota. Secondo: c’è il rischio che sindaci e consiglieri comunali che si mobilitano attorno alle elezioni di secondo livello, fanno alleanze, anche trasversali, minaccino la rielezione di molti di voi alle prossime Regionali». Ma almeno su questo la maggioranza la spunta. Cala la sera e pure i lavori d’Aula si interrompono. Si riprenderà domani, ma non sono escluse sorprese.

Gabriele Ruggieri

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