Ars, dal dramma al melodramma fenomenologia di due leggi-vuoto…

Da qualche giorno quotidiani siciliani, cartacei e on line – e anche qualche quotidiano nazionale – ci deliziano con dotti articoli su due ‘importantissime’ leggi approvate dall’Assemblea regionale siciliana. La prima punta a ridurre il numero dei deputati che, dagli attuali 90, passerebbero a 70 (come a scopa quando, per l’appunto, si ‘appatta’ la settanta). La seconda legge, ancora più importante, visto che tratta di piccioli, si propone – addiritura! – di modificare l’articolo 36 dello Statuto per fare in modo che le accise sulle benzine restino in Sicilia e non vengano più riversate nelle ‘casse’ romane (accise: non è il passato remoto del verbo uccidere nella lingua di De Filippo e di Mario Merola: sono solo imposte).
Purtroppo – ma questo punto non è stato molto enfatizzato – si tratta di due leggi-voto. Che significa? Che, trattandosi di modifiche della Costituzione, dovrà essere il parlamento nazionale, secondo quanto prevede l’articolo 138 della ‘Carta’ fondante del nostro Paese, ad approvare queste leggi con la ‘doppia lettura’. Tutto sommato, cosa volete che sia ‘sto articolo 138 della Costituzione? Una ‘passeggiata’ parlamentare di un paio d’ore? Non esattamente. In genere, queste ‘doppie letture’, se tutto fila liscio, si tirano da sei a otto mesi. Ma tutto, appunto, deve filare liscio. Perché se sopravvengono problemi si va alle calende greche! Come si può notare, si tratta di due notizie di ‘cronaca’ allo stato puro, imminenti, dietro la porta: aprite che bussano…
Di queste due irripetibili leggi-voto – che a nostro avviso per la grande valenza culturale e politica possono, senza dubbio, esse definite ‘leggi-vuoto’ – colpisce, stupisce e, quasi quasi, lascia senza fiato la profonda ‘intelligenza’ sprigionata da chi le ha proposte e, naturalmente, da chi le ha votate. In effetti, per ridurre i costi della politica – formula demagogica oggi molto di moda nelle analisi sanfediste dei politologi d’accatto – bisogna ridurre la rappresentanza parlamentare. Volete mettere l’intelligenza limitata dei padri dello Statuto siciliano con gli attuali inquilini di Sala d’Ercole? Via, non c’è paragone!
Basta guardare in faccia i deputati che hanno proposto queste due ‘bacarate’ per capire che siamo davanti a dei veri e propri ‘Pichi delle Mirandole’ della politica. Ma che ne capivano i padri dello Statuto di queste cose? Loro, poveretti, volevano soltanto dare rappresentanza parlamentare a tutte le province e, soprattutto, dare centralità al parlamento dell’Isola.
Già, la centralità del parlamento. Che, per ‘fortuna’, è già stata ‘ammaccata’ con un’altra manifestazione di somma intelligenza politica e legislativa nel 2001. Quando l’Ars ha voluto l’elezione diretta del presidente della Regione, avendo scrupolosa cura di non introdurre i ‘contrappesi’ per evitare che il presidente della Regione diventasse una sorta di podestà fascista, trasformando la vita parlamentare in un mercato delle vacche.
Operazione ‘perfettamente’ riuscita: grazie alla legge-voto del 2001 – approvata dal parlamento nazionale – Sala d’Ercole, rispetto al governo, conta oggi quanto il due di denari con la briscola a coppe. L’Ars non ha uno strumento di controllo sull’esecutivo. Nulla di nulla (a parte il bilancio che, ormai, si approva ad aprile, con i prati in fiore, non prima di avere aperto il solito suk a base di incarichi, consulenze, affari e altri strumenti ‘nobili’ della politica). Il presidente della Regione, infatti, fa quello che vuole: cambia maggioranze politiche (alla faccia degli elettori), cambia gli assessori, trasforma in dirigenti generali trentenni rampanti che hanno solo il ‘merito’ di essere suoi sodali e che, in compenso, non capiscono un’acca di pubblica amministrazione (e i risultati, infatti, si vedono, soprattutto in materia di ‘proficuo’ impiego dei fondi europei…).
Questa legge-voto di finissima intelligenza che riduce – o ridurrà quando Roma l’approverà – va nella ‘giusta’ direzione, ovvero nell’intelligente percorso della riforma del 2001. Se oggi il presidente, per cambiare maggioranza, deve ‘trattare’ (la parola sarebbe un’altra, ma non ci possiamo fare querelare: lo capite, no?) con 15 deputati, con la nuova legge ‘tratterà’ con 10 deputati. Con un bel ‘risparmio’ (di tempo, s’intende, per carità…).
Ancora più ‘intelligente’ la modifica dell’articolo 36 dello Statuto. La cosa che ci ha fatto veramente piacere è l’avere letto – nei comunicati festanti di alcuni scodinzolanti deputati-fautori di questo provvedimento – che ormai cosa fatta è! Ci manca il “sì” di Roma? Ma cosa volete che sia di fronte al piacere di strombazzare cotanto successo! Lo volete capire o no, cari lettori, che con questa legge-voto-ancora-da-votare cinque-sei-sette-otto miliardi di euro che oggi prendono la via di Roma resteranno in Sicilia? Quanti bei precari da ‘fare’ e poi da stabilizzare: quanti altri ‘amici’ da assumere per chiamata diretta nelle società regionali (i concorsi pubblici, questi sconosciuti…): quanti altri medici da intruppare all’assessorato alla Sanità, pardon, alla Salute, con contratti da superdirigenti: quanti consulenti da nominare. Insomma, lo volete capire o no che con l’articolo 36 ‘ricotto’ in salsa sicula rilanciamo l’Autonomia?
Infine, la ‘notizia’ che non avete ancora letto. Che volete: i deputati, impegnati a ‘promuovere’ la loro doppia ‘genialata’, non hanno avuto il tempo di comunicarvela. Ve la comunichiamo noi.
Dunque, la notizia, schitta schitta, è questa. A Roma, appena hanno saputo che l’Assemblea regionale siciliana vuole ridurre i propri deputati e, soprattutto, quando gli hanno detto che la Sicilia si vuole tenere cinque-sei-sette-otto miliardi di accise sono andati in brodo di giuggiole. La nostra bella Isola, avrebbero detto, avrà la preminenza su tutto. E avrà ciò che vuole. Quale manovra: quali mercati (che volete che siano ‘sti mercati di fronte a due ‘storiche’ leggi-voto dell’Ars): quale spread (l’abbiamo scritto giusto? non andremo su google a controllare): quale abolizione della pensione di anzianità (o di vecchiaia: confessiamo, non abbiamo mai capito la differenza, visto che ci sembrano parole simili): quale mantenimento delle Province invece di abolirle: prima viene la Sicilia con le sue due ‘intelligenti leggi-voto.
La seconda, soprattutto, è molto attesa a Roma. Al ministero dell’Economia la aspettano da anni. Con le cosce di fuori. Sembra che Monti in persona, da quando ha saputo di ‘sta storia dell’articolo 36, chiama ogni giorno la torre Pisana di Palazzo Reale. Dicono che abbia già pronti i cinque-sei-sette-otto miliardi di euro da dare alla Sicilia. Anzi, direttamente al Parlamento siciliano. Addirittura, per meri problemi di cassa, se li farà anticipare da Goldman Sachs. Un parlamento così virtuoso questo regalo da Roma se lo merita tutto…

 

 

Giulio Ambrosetti

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