Corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio e accesso abusivo a sistemi informatici. Sono questi i reati, entrambi con l’aggravante del metodo e delle modalità mafiose, per cui sono stati arrestati Carmelo Palo e Antonino Di Grazia. Il primo è l’ormai ex vicesindaco di Itala (nel Messinese) e assistente capo della polizia penitenziaria del carcere di Giarre (in provincia di Catania); l’altro è un detenuto, il figlio di Orazio Di Grazia – detto Scarpa pulita – ritenuto esponente di spicco del clan Laudani con un ruolo apicale nel gruppo di Picanello di Catania.
L’inchiesta è scaturita da alcune segnalazioni da parte della polizia penitenziaria in servizio alla casa circondariale di Giarre. Le indagini hanno permesso di accertare che Di Grazia, sfruttando l’interesse di Palo per le scommesse sportive, gli avrebbe fornito di volta in volta notizie sui risultati di incontri di calcio di serie minori che, a suo dire, sarebbero state truccate per effetto di un accordo illecito sostenuto dalla famiglia mafiosa di appartenenza e gli avrebbe promesso il pagamento degli importi per sostenere le scommesse. In cambio di questi favori, il poliziotto penitenziario avrebbe offerto al detenuto la sua piena disponibilità a compiere atti contrari ai doveri d’ufficio. In particolare, Palo avrebbe omesso controlli e segnalazioni nei confronti di Di Grazia, fornendogli informazioni riservate anche acquisite tramite banche dati in uso esclusivo alle forze dell’ordine e ritardando il deposito di rapporti disciplinari a carico del detenuto per evitare conseguenze sull’imminente rilascio di permessi premio.
Le indagini avrebbero delineato «un quadro di totale asservimento della funzione pubblica esercitata da Palo agli interessi personali e privati del detenuto tanto che quest’ultimo prefigurava al pubblico ufficiale, una volta conclusa la sua detenzione, possibili affari illeciti in comune e gli prometteva la consegna di ingenti somme di denaro da custodire nell’abitazione dell’agente penitenziario con la possibilità di utilizzarle». Nel corso delle attività di indagine, inoltre, è emersa l’intestazione fittizia del bar catanese Caffè Etna Srls (meglio noto come Etna Bar), intestato a soggetti di comodo per eludere misure di prevenzione.
Il giudice per le indagini preliminari, accogliendo la richiesta della procura, ha disposto nei confronti dei due indagati l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. Inoltre, il gip ha anche disposto il sequestro preventivo delle quote della Caffè Etna Srls e del complesso aziendale, il cui valore – secondo le prime stime – potrebbe attestarsi intorno ai 600mila euro, per il trasferimento fraudolento di valori. La posizione del titolare di fatto dell’esercizio commerciale è attualmente al vaglio del gip.
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