Arcade Fire – Neon bible (2007, Merge Records)


TRACKLIST:

01 Black Mirror
02 Keep The Car Running
03 Neon Bible
04 Intervention
05 Black Wave/Bad Vibration
06 Ocean of Noise
07 The Well and the Lighthouse
08 (Antichrist Television Blues)
09 Windowsill
10 No Cars Go
11 My Body Is A Cage

Di questi tempi è davvero molto improbabile che una band, per di più neofita, decida di lasciar trascorrere come se nulla fosse la bellezza di – quasi – tre anni fra un’uscita discografica e l’altra. Gli Arcade Fire dei coniugi Win Butler e Régine Chassagne, invece, dopo un fulminante esordio con “Funeral” (2004), uno degli episodi più acclamati del nuovo millennio, tornano in pista questo marzo 2007 con Neon Bible, attesissimo secondo capitolo della loro produzione.

Registrato fra il Canada, gli Stati Uniti e l’Europa, “Neon Bible” si presenta come una creatura ben più omogenea del suo predecessore, decisamente meno “vittima” di quegli alti e bassi che in “Funeral” colpivano dritti al cuore aumentando e diminuendo a piacimento sistole e diastole dell’ascoltatore.

La cantilenante opener Black Mirror dimostra fin da subito che tipo di lavoro ci si trova davanti, impregnata di una timbrica di una densità disarmante. Un pezzo a là Cure come Keep The Car Running e i riverberi naturali della titletrack Neon Bible annunciano la parte centrale (e più corposa) dell’album: Intervention, una recita più che un brano, tanto è prepotente il crescendo lirico del componimento, supportato da una sfarzosa sezione d’archi; Black Wave/Bad Vibration, pezzo “doppio” in cui a chitarre acide segue senza soluzione di continuità una sessione ritmica cupa e addolorata come in pochi altri momenti.

La stupenda e ritmata ballad Ocean of Noise, una traccia che sa tanto new-wave come The Well and the Lighthouse, il blues westernato di (Antichrist Television Blues), figlio questo della miglior tradizione cantautorale americana, e l’altra ballata Windowsill precedono il gran finale, affidato a due brani superbi.

L’aspetto orchestrale delle composizioni degli Arcade Fire, quindi, si rivela in tutta la sua grazia in quel piccolo capolavoro che è No Cars Go (ripescaggio da un vecchio ep della band). Pomposa, barocca, ricercata all’inverosimile (ma senza che ciò riesca mai a scalfire il sottobosco emozionale caratteristico dei nostri), “No Cars Go” si candida prepotentemente a traccia migliore dell’intero lotto; ed infine My Body Is A Cage, struggente, riflessiva, languida, che conferma a chiusura la pulsante vena dark che percorre questi “secondi” Arcade Fire. In tutto ciò spicca la prova vocale di Butler che, ergendosi a metà strada fra il David Bowie più ispirato ed il Paul Banks prima maniera (tanto per non scomodare il “solito” Ian Curtis), pervade le tracce di un’aurea plumbea alleviata – solo a tratti – dall’accompagnamento ai controcori della moglie, il cui apporto è qui decisamente meno marcato rispetto all’album d’esordio.

Insomma, “Funeral” ha avuto un fratellino, la “discendenza” è ormai al sicuro e gli Arcade Fire si confermano a pieno titolo i regnanti delle ibridate lande dell’indie-rock.


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