Appello trattativa, Berlusconi sarà sentito a novembre Sarà citato come teste indagato per reato connesso

Silvio Berlusconi sarà citato al processo d’appello sulla trattativa fra lo Stato e la mafia in qualità di teste indagato per reato connesso. La convocazione è prevista per l’udienza dell’11 novembre, che si terrà nell’aula bunker dell’Ucciardone. Questa la decisione presa dal presidente Angelo Pellino. Una decisione che arriva dopo aver appreso, poche settimane fa, dai legali dello stesso ex premier, gli avvocati Fausto Coppi e Nicolò Ghedini, che Berlusconi è attualmente indagato dalla procura di Firenze per le stragi del ’93 e i falliti attentati a Maurizio Costanzo e al collaboratore Totuccio Contorno. Circostanza rispetto alla quale per il presidente Pellino si ravviserebbe una «connessione solo probatoria, tutt’al più teleologica, fra i due procedimenti», cioè quello in corso a Palermo e quello pendente a Firenze. Un teste assistito, che dovrà presentarsi accompagnato del suo legale e potrà quindi avvalersi della facoltà di non rispondere, «non può essere obbligato a deporre su fatti che riguardano le accuse per cui è indagato». Oltre al fatto, come sottolineato dallo stesso presidente Pellino, che l’ex premier «non risulta che abbia già reso dichiarazioni sui fatti per il quale viene qui citato».

Citato dalla difesa di Marcello Dell’Utri (condannato a 12 anni in primo grado) – richiesta alla quale si è associata anche l’accusa -, il Cavaliere avrebbe dovuto deporre proprio oggi, insieme all’ex pm Antonio Di Pietro, sentito per oltre quattro ore. Ma nei giorni scorsi i suoi avvocati avevano preventivamente già fatto sapere che non ci sarebbe stato a causa di impegni istituzionali pregressi a Bruxelles. Con la stessa nota, davano anche conferma delle indagini a carico dell’ex premier e degli episodi che gli vengono contestati dai magistrati di Firenze. Secondo la ricostruzione dell’accusa, all’epoca dell’ingresso di Berlusconi nella scena politica, Dell’Utri sarebbe diventato il nuovo tramite istituzionale dei boss di Cosa nostra, avvalendosi dei suoi rapporti con Vittorio Mangano, mafioso trapiantato in Lombardia e molto vicino a Berlusconi, per il quale lavorò anche come stalliere. Sarebbero stati loro alcuni dei protagonisti della trattativa fra lo Stato e la mafia, proprio nell’epoca in cui veniva fondato Forza Italia. Di questo dovrà riferire l’ex presidente del consiglio, chiarendo se abbia subito o meno minacce da parte di Cosa nostra per assecondare le sue richieste.

«Mangano era uno molto vicino a Berlusconi», ha raccontato solo due settimane fa il collaboratore catanese Francesco Squillaci, Martiddina, che avrebbe appreso questo e molti altri dettagli dalle confidenze del padre Giuseppe. Proprio quest’ultimo si sarebbe ritorvato in carcere con Mangano, che «scriveva telegrammi a Berlusconi, gli chiedeva aiuto per non essere più massacrato, solo che tornavano tutti indietro e lui poi li stracciava. La polizia giudiziaria, leggendo il suo nome e cognome e l’indirizzo di casa, non li faceva nemmeno partire. A scriverli era, sotto dettatura, mio padre stesso, perché Mangano aveva dei problemi alla vista. Lamentava sempre le stesse cose: che stava male, che lo stavano facendo morire, che il 41 bis era durissimo, chiedeva di mandare qualcuno a fare un’ispezione. Mangano gli diceva che Berlusconi era l’unica persona che poteva aiutare i mafiosi. Dico queste cose adesso perché ci sto riflettendo ora – ha spiegato il collaboratore -. Durante il carcere mio padre mi ha riferito tante cose importanti, circostanze a cui sto ripensando ora».

Ma a tirare in ballo l’ex premier non sarebbero solo gli Squillaci. C’è anche un altro personaggio importante della vicenda, Giuseppe Graviano che, insieme al fratello Filippo, sarebbe stato «grande amico intimo di Dell’Utri», sempre secondo quanto raccontato dal collaboratore catanese. Graviano parla di Berlusconi con un compagno di detenzione, il camorrista Umberto Adinolfi, durante le loro passeggiate nel cortile del carcere di Ascoli Piceno. «Il governo Berlusconi non ha fatto alcune cose, no che io lo sto difendendo – dice, intercettato, il 19 gennaio 2016 -. Lui non ha fatto le cose perché aveva Casini… aveva Bossi contro. Quando avevano fatto il codice penale, tu dirai porti sempre acqua al tuo mulino, si è trovato a essere attaccato da Casini (…), poi all’ultimo, quando Fini si è arrivati quasi alla rottura. Quindi – dice più avanti -, perciò, Berlusconi ha avuto le difficoltà che ha avuto perché quelli erano fascisti mascherati», riferisce il boss di Brancaccio, alludendo a un eventuale intervento che avrebbe dovuto esserci da parte dell’ex premier per aggiustare alcune storture del codice penale e soprattutto quel regime di 41 bis tanto sofferto dagli uomini di Cosa nostra ritrovatisi in manette.

Intercettato in carcere il boss inveisce anche contro qualcuno. Qualcuno che, per i pm di Palermo sarebbe proprio il leader di Forza Italia: «Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta… alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso… e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente – si sfoga con Adinolfi -. Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi arrestano e tu cominci a pugnalarmi. Al signor crasto gli faccio fare la mala vecchiaia», dice Graviano sempre alludendo, secondo i pm, a Berlusconi colpevole di averlo abbandonato. «Sa che io non parlo – aggiunge – perché sa il mio carattere e sa le mie capacità…pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com’è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste».


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