«Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura un operatore economico qualora (si) dimostri con mezzi adeguati che si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità». Articolo 80, comma 5, lettera c del codice degli appalti. Una norma che, a detta di diversi imprenditori, in Sicilia viene poco applicata, suscitando i malumori di chi si trova a competere con persone coinvolte in inchieste giudiziarie. Alcune delle quali finite anche sotto la lente non solo della magistratura ma anche di giornali e tv.
L’ultimo caso, secondo quanto accertato da MeridioNews, arriva da un appalto per dei lavori stradali a valle del centro di Baucina, nel Palermitano. Interventi utili a rendere più accessibili i siti archeologici di monte Falcone e monte Carrozza e per i quali la Regione Siciliana, attraverso la Protezione civile, l’anno scorso ha indetto una procedura da oltre due milioni di euro. La gara, iniziata in autunno con un ritardo di circa tre mesi, si è conclusa nei giorni scorsi. L’ultima seduta si è svolta in videoconferenza per le restrizioni legate al Covid-19 e la commissione valutatrice ha proposto di aggiudicare i lavori a un’Ati composta dalle imprese Euroinfrastrutture e Mammana Lavori, che hanno presentato un ribasso del 24 per cento.
Il riferimento all’articolo 80 nasce dalla lista dei 247 partecipanti. Scorrendo lo sguardo ci si imbatte in numerose imprese che negli ultimi anni sono state coinvolte in scandali di diversa natura: dalla vicenda legata alla corruzione in Pubbliservizi – la società partecipata della Città metropolitana di Catania – al caso dei Durc falsi che ha travolto diverse imprese, fino alla tangentopoli delle strade che ha colpito Anas. Quest’ultima è forse l’inchiesta che più ha scosso il mondo degli appalti lo scorso anno e che nei prossimi giorni vedrà la decisione sulla richiesta di patteggiamento di parecchi degli imputati, tra i quali i funzionari avvezzi a mettersi in tasca mazzette in cambio di controlli più leggeri nei cantieri.
Tra gli imprenditori individuati dalla guardia di finanza c’è anche il nisseno Salvatore Truscelli. L’uomo, titolare dell’impresa omonima, è stato il primo a finire nel mirino delle Fiamme gialle. Di recente ha patteggiato la responsabilità amministrativa della società, mentre la richiesta di patteggiamento per la corruzione deve ancora essere discussa. Nel frattempo, invece, l’impresa ha cambiato nome. Adesso si chiama EdilPro e la modifica ha lasciato traccia nei verbali. «Il nuovo nome? Una scelta dei soci», dichiara a MeridioNews il legale dell’imprenditore, Boris Pastorello. Scelta simile è stata fatta da Roberto Priolo, anche lui coinvolto nell’inchiesta Buche d’oro: la sua impresa ha concluso la gara d’appalto per i lavori a Baucina come Costruzioni Ambientali. Prima era Ing. Priolo Roberto. Chi invece ha partecipato mantenendo la propria denominazione è la Isap di Termini Imerese.
Ad avere il via libera della commissione di gara sono state anche le imprese Messina Costruzioni, R3 Costruzioni, Spampinato Group e Pisciotta Costruzioni. Ai loro rappresentanti legali a febbraio è stato notificato l’avviso di chiusura delle indagini da parte della procura di Catania. Sono accusati di avere ottenuto Durc falsi, con la complicità dell’ex vicedirettore della Cassa edile di Catania Filippo Di Guilmi. Tra i mittenti delle buste con le offerte ci sono stati anche la Ma.Gi, riconducibile ad Alfio Giuffrida, l’imprenditore che ammise i regali all’ex presidente della Pubbliservizi Adolfo Messina, già condannato in primo grado; la società Patriarca Group, finita in un processo per presunta frode nelle forniture a Fiumefreddo, e la Bdf Appalti, l’impresa al centro dell’articolo con cui MeridioNews, nel 2018, diede notizia di una presunta turbativa d’asta al Genio civile di Agrigento e che portò all’apertura di un fascicolo in procura.
Macchie più o meno grandi che, in molti casi, dovranno essere sottoposte alla prova del lavaggio. E che, esistendoil principio della presunzione di innocenza, non possono consentire di affermare la colpevolezza fino a sentenza definitiva. Tuttavia, il codice degli appalti al comma 5, lettera c, dell’articolo 80 non prevede la condanna in terzo grado come condizione indispensabile per decidere un’esclusione. La normativa, infatti, fa riferimento a episodi che possano rendere «dubbia» l’integrità dell’impresa. «La norma dà la possibilità alla stazione appaltante di valutare se esistono i presupposti per una esclusione alla gara per fatti accaduti prima o durante la procedura – spiega Ida Nicotra, professoressa di Diritto costituzionale e componente del consiglio di Anac -. Si tratta di un potere discrezionale».
Un’autonomia di giudizio che, tante volte, porta i commissari di gara a decidere di non imbarcarsi in iniziative personali. «Se non me lo segnala un tribunale, se non c’è qualcuno che mi certifica che quella data ditta non ha, al momento, i requisiti morali per partecipare alla gara, come si fa? – commenta a MeridioNews un funzionario con esperienze in commissioni di gara – Non possiamo mica stare dietro a tutte le notizie di cronaca, anche perché quante volte sui giornali si leggono cose che poi vengono smentite nelle aule dei tribunali?».
«Inevitabilmente bisogna tenere conto dei contesti specifici – va avanti Nicotra -. Un’esclusione prima di una sentenza definitiva può arrecare un danno all’impresa. Ma comunque – conclude la consigliera di Anac – le assicuro che a livello nazionale l’articolo 80 trova spesso applicazione».
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