Gli imprenditori di Cammarata Francesco e Filippo Migliore, Alessio La Corte e Vito La Greca e il vittoriese Roberto Di Paola avrebbero fatto parte della cumbertazione, il sistema ideato dalla famiglia imprenditoriale di Gioia Tauro Bagalà, per mettere le mani su una serie di lavori pubblici
Appalti, le imprese siciliane che aiutavano i calabresi Tra gare truccate e presunti favori alla ‘ndrangheta
«Ultimamente mi stai abbandonando». «Ma no, sei stato tu che mi hai trattato male l’ultima volta». Non sono scaramucce tra innamorati sotto san Valentino, ma una delle centinaia di intercettazioni effettuate dagli investigatori tra la Calabria e la Sicilia, nel periodo che va dal 2012 al 2015. Tre anni nei quali, secondo i magistrati delle Direzioni distrettuali antimafia di Reggio Calabria e di Catanzaro, decine di imprese attive nel settore edile si sarebbero accordate per alterare una serie indeterminata di gare pubbliche. Con il chiaro intento di agevolare il gruppo imprenditoriale Bagalà, originario di Gioia Tauro e ritenuto vicino alla cosca ‘ndraghetista Piromalli.
A ruotare attorno alla figura del 40enne Francesco Bagalà e di Giorgio Morabito, considerato contiguo ai clan calabresi, sarebbero stati diversi imprenditori, molti dei quali raggiunti da ordinanze di custodia cautelare già a metà gennaio, quando la guardia di finanza e il nucleo di polizia tributaria hanno effettuato una serie di fermi nell’ambito dell’inchiesta Cumbertazione. Provvedimenti che sono stati riconfermati nei giorni scorsi dalla giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria, Caterina Catalano, e che riguardano anche diversi siciliani, amministratori di alcune imprese compiacenti con sedi a Cammarata e San Giovanni Gemini, in provincia di Agrigento.
Si tratta dei fratelli Francesco e Filippo Migliore, e di Alessio La Corte e Vito La Greca, questi ultimi tra loro cognati. I quattro, a vario titolo, avrebbero messo a disposizione le ditte a loro collegate. Su tutte, la Comel srl, di cui Francesco Migliore è socio maggioritario e Filippo direttore esecutivo. Secondo l’accusa, la Comel avrebbe fatto parte del cartello di imprese che gareggiava fittiziamente, consapevole che nella maggior parte dei casi la propria presenza sarebbe stata soltanto formale. Servendo a garantire una parvenza di regolarità a procedure che, in realtà, sarebbero state condizionate da accordi precedenti, con l’obiettivo esclusivo di lasciare a Bagalà la possibilità di gestire chi avrebbe vinto. Il 40enne avrebbe scelto poi tra le società vicine alla criminalità organizzata chi realmente avrebbe lavorato.
In tal senso, il ruolo di Morabito era quello di diventare procuratore speciale delle ditte che ufficialmente avrebbero dovuto svolgere i lavori e che invece finivano sempre per poggiarsi su sub-appalti. Lo stesso Morabito si sarebbe poi occupato della «tassa ambientale», ovvero della messa a posto per evitare che le cosche attive nei singoli territori creassero problemi.
Ai perdenti sarebbe stata riconosciuta una percentuale che variava tra il 2,5 e il 5 per cento sull’importo a base d’asta al netto dei ribassi. Una sorta di premio per il disturbo. I ribassi, secondo gli investigatori, sarebbero stati tutti pianificati ben prima della scadenza dei tempi per partecipare alle gare, con le buste che in più di un caso venivano inviate via posta dalla stessa persona, che sulla carta non avrebbe dovuto avere nulla in comune con le diverse ditte. In altre circostanze, invece, le buste arrivavano direttamente nelle mani di Bagalà. «Hai portato qualche documento di Alessio (La Corte, ndr)», chiedeva in un caso l’imprenditore di Gioia Tauro a La Greca. Il quale, dopo aver detto di non avere niente con sé, acconsentiva alla proposta del 40enne imprenditore – «scusa, vengo io e me li prendo la settimana prossima?» – rispondendo: «E va bene, caso mai ci sentiamo e vediamo come organizzarci dai».
La Comel, tuttavia, in qualche caso è risultata anche vincitrice. Come nel caso della costruzione di un parcheggio interrato con piazza sopraelevata a Gioia Tauro, progetto bandito dal Comune e legato allo sviluppo del water front del porto. In quest’occasione a intervenire sarebbe stato anche Pasquale Nicoletta, considerato fedelissimo dei Piromalli, che tramite la sorella Angela – dirigente ai Lavori pubblici – riusciva a far allungare i tempi di presentazione delle offerte di circa 20 giorni, così da favorire la Comel.
A interloquire con Bagalà in molte occasioni era anche Roberto Di Paola, imprenditore che secondo gli inquirenti avrebbe fatto parte della «cordata siciliana», su cui i calabresi facevano affidamento per i propri affari illeciti. Di Paola – socio accomandatario della ditta Di Paola C. e figli s.a.s. con sede a Vittoria – è stato intercettato in diverse occasioni. In una di queste, facendo riferimento al documento per stipulare il subappalto, dice: «Che faccio lo lascio in bianco e ci pensi tu a completarlo?». E Bagalà risponde: «Sì, sì, sì, ci penso io». Di Paola sarebbe stato anche tra i promotori di un incontro avvenuto a Catania, nei pressi della sede della Sigenco, la discussa ditta specializzata nella produzione di calcestruzzo e riconducibile all’imprenditore Santo Campione.
Nella lente degli investigatori, finisce anche la Effepi srl, società di Villafrati, in provincia di Palermo, che in più di un’occasione «veniva precettata per partecipare in avvalimento con le imprese appartenenti al gruppo imprenditoriale dei Bagalà». L’impresa avrebbe dunque messo a disposizione i propri requisiti, per agevolare l’operato di due imprese vicine ai calabresi.